domenica 31 marzo 2013

Sonetto I



Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
Di quei sospiri ond’io nudriva il core
In sul mio primo giovenile errore,
Quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono;
Del vario stile in ch’io piango e ragiono
Fra le vane speranze e ’l van dolore,
Ove sia chi per prova intenda amore,
Spero trovar pietà, non che perdono.
Ma ben veggi’or sì come al popol tutto
Favola fui gran tempo: onde sovente
Di me medesmo meco mi vergogno:
E del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
E ’l pentirsi, e ’l conoscer chiaramente
Che quanto piace al mondo è breve sogno.


Francesco Petrarca

sabato 30 marzo 2013

Mattino



La finestra socchiusa contiene un volto 
sopra il campo del mare. I capelli vaghi 
accompagnano il tenero ritmo del mare. 

Non ci sono ricordi su questo viso. 
Solo un'ombra fuggevole, come di nube. 
L'ombra è umida e dolce come la sabbia 
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo. 
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro 
che è la voce del mare fatta ricordo. 

Nel crepuscolo l'acqua molle dell'alba 
che s'imbeve di luce, rischiara il viso. 
Ogni giorno è un miracolo senza tempo, 
sotto il sole: una luce salsa l'impregna 
e un sapore di frutto marino vivo. 

Non esiste ricordo su questo viso. 
Non esiste parola che lo contenga 
o accomuni alle cose passate. Ieri, 
dalla breve finestra è svanito come 
svanirà tra un istante, senza tristezza 
né parole umane, sul campo del mare.

Cesare Pavese

venerdì 29 marzo 2013

Gelosia


L'uomo vecchio ha la tetra di giorno, e di notte 
ha una donna ch'è sua - ch'era sua fino a ieri. 
Gli piaceva scoprirla, come aprire la terra, 
e guardarsela a lungo, supina nell'ombra attendendo. 
La donna sorrideva occhi chiusi. 
L'uomo vecchio stanotte è seduto sul ciglio 
del suo campo scoperto, ma non scruta la chiazza
della siepe lontana, non distende la mano 
a divellere un'erba. Contempla tra i solchi 
un pensiero rovente. La terra rivela 
se qualcuno vi ha messo le mani e l'ha infranta: 
lo rivela anche al buio. Ma non c'è donna viva 
che conservi la traccia della stretta dell'uomo. 
L'uomo vecchio si è accorto che la donna sorride 
solamente occhi chiusi, attendendo supina, 
e comprende improvviso che sul giovane corpo 
passa in sogno la stretta di un altro ricordo. 
L'uomo vecchio non vede più il campo nell'ombra. 
Si è buttato in ginocchio, stringendo la terra 
come fosse una donna e sapesse parlare. 
Ma la donna distesa nell'ombra, non parla. 
Dov'è stesa occhi chiusi la donna non parla 
né sorride, stanotte, dalla bocca piegata 
alla livida spalla. Rivela sul corpo 
finalmente la stretta di un uomo: la sola
che potesse segnarla, e le ha spento il sorriso. 


Cesare Pavese

Risveglio


Lo ripete anche l'aria che quel giorno non torna. 
La finestra deserta s'imbeve di freddo 
e di cielo. Non serve riaprire la gola 
all'antico respiro, come chi si ritrovi 
sbigottito ma vivo. E' finita la notte 
dei rimpianti e dei sogni. Ma quel giorno non torna. 

Torna a vivere l'aria, con vigore inaudito, 
l'aria immobile e fredda. La massa di piante 
infuocata nell'oro dell'estate trascorsa 
sbigottisce alla giovane forza del cielo. 
Si dissolve al respiro dell'aria ogni forma 
dell'estate e l'orrore notturno è svanito. 
Nel ricordo notturno l'estate era un giorno 
dolorante. Quel giorno è svanito, per noi. 

Torna a vivere l'aria e la gola la beve 
nella vaga ansietà di un sapore goduto 
che non torna. E nemmeno non torna il rimpianto 
ch'era nato stanotte. La breve finestra 
beve il freddo sapore che ha dissolta l'estate. 
Un vigore ci attende, sotto il cielo deserto.


Cesare Pavese

giovedì 28 marzo 2013

The night you slept


Anche la notte ti somiglia, 
la notte remota che piange 
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche. 
Una guancia tocca una guancia - 
è un brivido freddo, qualcuno 
si dibatte e t'implora, solo, 
sperduto in te, nella tua febbre. 

La notte soffre e anela l'alba, 
povero cuore che sussulti. 
O viso chiuso, buia angoscia, 
febbre che rattristi le stelle, 
c'è chi come te attende l'alba 
scrutando il tuo viso in silenzio. 
Sei distesa sotto la notte 
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti, 
un giorno lontano eri l'alba.



Cesare Pavese

In The Morning You Allways Come Back


Lo spiraglio dell'alba 
respira con la tua bocca 
in fondo alle vie vuote. 
Luce grigia i tuoi occhi, 
dolci gocce dell'alba 
sulle colline scure. 
Il tuo passo e il tuo fiato 
come il vento dell'alba 
sommergono le case. 
La città rabbrividisce, 
odorano le pietre - 
sei la vita, il risveglio. 
Stella sperduta 
nella luce dell'alba,
cigolio della brezza, 
tepore, respiro - 
è finita la notte. 
Sei la luce e il mattino.



Cesare Pavese

mercoledì 27 marzo 2013

Anche tu sei l'amore


Anche tu sei l'amore. 
Sei di sangue e di terra 
come gli altri. Cammini 
come chi non si stacca 
dalla porta di casa. 
Guardi come chi attende 
e non vede. Sei terra 
che dolora e che tace. 
Hai sussulti e stanchezze, 
hai parole - cammini 
in attesa. L'amore 
è il tuo sangue - non altro


Cesare Pavese

Sei la terra e la morte

Sei la terra e la morte. 
La tua stagione è il buio 
e il silenzio. Non vive 
cosa che più di te 
sia remota dall'alba. 

Quando sembri destarti 
sei soltanto dolore, 
l'hai negli occhi e nel sangue 
ma tu non senti. Vivi 
come vive una pietra,
come la terra dura. 
E ti vestono sogni 
movimenti singulti 
che tu ignori. Il dolore 
come l'acqua di un lago 
trepida e ti circonda. 
Sono cerchi sull'acqua. 
Tu li lasci svanire. 
Sei la terra e la morte.


Cesare Pavese

lunedì 25 marzo 2013

E allora Noi Vili


E allora noi vili 
che amavamo la sera 
bisbigliante, le case, 
i sentieri sul fiume, 
le luci rosse e sporche 
di quei luoghi, il dolore 
addolcito e taciuto - 
noi strappammo le mani 
dalla viva catena 
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue, 
e non fu più dolcezza, 
non fu più abbandonarsi 
al sentiero sul fiume - 
- non più servi, sapemmo 
di essere soli e vivi.

Cesare Pavese

Tu Sei Come Una Terra


Tu sei come una terra 
che nessuno ha mai detto. 
Tu non attendi nulla 
se non la parola 
che sgorgherà dal fondo 
come un frutto tra i rami. 
C'è un vento che ti giunge. 
Cose secche e rimorte 
t'ingombrano e vanno nel vento. 
Membra e parole antiche. 
Tu tremi nell'estate.

Cesare Pavese

domenica 24 marzo 2013

La Casa



L'uomo solo ascolta la voce calma 
con lo sguardo socchiuso, quasi un respiro 
gli alitasse sul volto, un respiro amico 
che risale, incredibile, dal tempo andato. 

L'uomo solo ascolta la voce antica 
che i suoi padri, nei tempi, hanno udito, chiara 
e raccolta, una voce che come il verde 
degli stagni e dei colli incupisce a sera. 

L'uomo solo conosce una voce d'ombra, 
carezzante, che sgorga nei toni calmi 
di una polla segreta: la beve intento, 
occhi chiusi, e non pare che l'abbia accanto. 

E' la voce che un giorno ha fermato il padre 
di suo padre, e ciascuno del sangue morto. 
Una voce di donna che suona segreta 
sulla soglia di casa, al cadere del buio. 

Cesare Pavese

Alter Ego


Dal mattino alla sera vedevo il tatuaggio 
sul suo petto setoso: una donna rossastra 
fitta, come in un prato, nel pelo. Là sotto 
rugge a volte un tumulto, che la donna sussulta.
La giornata passava in bestemmie e silenzi. 
Se la donna non fosse un tatuaggio, ma viva 
aggrappata sul petto peloso, quest'uomo 
muggirebbe più forte, nella piccola cella. 
Occhi aperti, disteso nel letto taceva. 
Un respiro profondo di mare saliva 
dal suo corpo di grandi ossa salde: era steso 
come sopra una tolda. Pesava sul letto 
come chi s'è svegliato e potrebbe balzare. 
li suo corpo, salato di schiuma, grondava 
un sudore solare. La piccola cella 
non bastava all'ampiezza d'una sola sua occhiata. 
A vedergli le mani si pensava alla donna.


Cesare Pavese

sabato 23 marzo 2013

All'amico che dorme


Che diremo stanotte all'amico che dorme? 
La parola più tenue ci sale alle labbra 
dalla pena più atroce. Guarderemo l'amico, 
le sue inutili labbra che non dicono nulla, 
parleremo sommesso. 
La notte avrà il volto 
dell'antico dolore che riemerge ogni sera 
impassibile e vivo. Il remoto silenzio 
soffrirà come un'anima, muto, nel buio. 
Parleremo alla notte che fiata sommessa. 
Udiremo gli istanti stillare nel buio 
al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,
che verrà d'improvviso incidendo le cose 
contro il morto silenzio. L'inutile luce 
svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti 
taceranno. E le cose parleranno sommesso.

Cesare Pavese

E tu non sai le colline


Tu non sai le colline 
dove si è sparso il sangue. 
Tutti quanti sfuggimmo 
tutti quanti gettammo 
l'arma e il nome. Una donna 
ci guardava fuggire. 
Uno solo di noi 
si fermò a pugno chiuso, 
vide il cielo vuoto, 
chinò il capo e morì 
sotto il muro, tacendo. 
Ora è un cencio di sangue 
e il suo nome. Una donna 
ci aspetta alle colline. 

Cesare Pavese

venerdì 22 marzo 2013

Ciao Pietro...


Poesiandu si unisce al dolore per la perdita di un grande atleta italiano.

Si e' spento a soli 61 anni Pietro Mennea che nella sua lunga carriera sportiva ha fatto sognare l'intera nazione Italiana con le sue splendide imprese.

Ciao... Freccia del Sud!

...un piede avanti l'altro, un passo alla volta, non ha importanza quante volte cadi, quello che è importante e che ti rialzi una volta in più...
Se non credi in te stesso non pensare che gli altri lo facciano per te.
Le prove a cui sopravviviamo ci rendono più forti.



(Nietzsche)

Rio Salto


Lo so: non era nella valle fonda
suon che s'udia di palafreni andanti:
era l'acqua che giù dalle stillanti
tegole a furia percotea la gronda.

Pur via e via per l'infinita sponda
passar vedevo i cavalieri erranti;
scorgevo le corazze luccicanti,
scorgevo l'ombra galoppar sull'onda.

Cessato il vento poi, non di galoppi
il suono udivo, né vedea tremando
fughe remote al dubitoso lume;

ma voi solo vedevo, amici pioppi!
Brusivano soave tentennando
lungo la sponda del mio dolce fiume

Giovanni Pascoli 

giovedì 21 marzo 2013

Il Passato


Rivedo i luoghi dove un giorno ho pianto:
un sorriso mi sembra ora quel pianto.

Rivedo i luoghi, dove ho già sorriso...
Oh! come lacrimoso quel sorriso!



Giovanni Pascoli 

mercoledì 20 marzo 2013

Pianto


Più bello il fiore cui la pioggia estiva
lascia una stilla dove il sol si frange;
più bello il bacio che d'un raggio avviva
occhio che piange.


Giovanni Pascoli 

In Alto


Nel ciel dorato rotano i rondoni.

Avessi al cor, come ali, così lena!
Pur l'amerei la negra terra infida,

sol per la gioia di toccarla appena,
fendendo al ciel non senza acute strida.

Ora quel cielo sembra che m'irrida,
mentre vado così, grondon grondoni.


Giovanni Pascoli

martedì 19 marzo 2013

Nevicata



Nevica: l'aria brulica di bianco;
la terra è bianca; neve sopra neve:
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
cade del bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera:
passano bimbi: un balbettio di pianto;
passa una madre: passa una preghiera.


Giovanni Pascoli 

Il Tuono



E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi svanì. Soave allora un canto
s'udì di madre, e il moto di una culla.

Giovanni Pascoli 

lunedì 18 marzo 2013

Il Lampo



E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera.



Giovanni Pascoli

La Cavalla Storna

Nella Torre il silenzio era già alto. 
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

I cavalli normanni alle lor poste 
frangean la biada con rumor di croste.

Là in fondo la cavalla era, selvaggia, 
nata tra i pini su la salsa spiaggia;

che nelle froge avea del mar gli spruzzi 
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

Con su la greppia un gomito, da essa 
era mia madre; e le dicea sommessa:

"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna"
;

tu capivi il suo cenno ed il suo detto! 
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

il primo d’otto tra miei figli e figlie; 
e la sua mano non toccò mai briglie.

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano, 
tu dài retta alla sua piccola mano.

Tu ch’hai nel cuore la marina brulla, 
tu dài retta alla sua voce fanciulla”.

La cavalla volgea la scarna testa 
verso mia madre, che dicea più mesta:

"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna
";

lo so, lo so, che tu l’amavi forte! 
Con lui c’eri tu sola e la sua morte.

O nata in selve tra l’ondate e il vento, 
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso, 
nel cuor veloce tu premesti il corso:

adagio seguitasti la tua via, 
perché facesse in pace l’agonia...”

La scarna lunga testa era daccanto 
al dolce viso di mia madre in pianto.

"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna
";

oh! due parole egli dové pur dire! 
E tu capisci, ma non sai ridire.

Tu con le briglie sciolte tra le zampe, 
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,

con negli orecchi l’eco degli scoppi, 
seguitasti la via tra gli alti pioppi:

lo riportavi tra il morir del sole, 
perché udissimo noi le sue parole”.

Stava attenta la lunga testa fiera. 
Mia madre l’abbracciò su la criniera

"O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna
";

a me, chi non ritornerà più mai! 
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!

Tu non sai, poverina; altri non osa. 
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise: 
esso t’è qui nelle pupille fise.

Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. 
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.

Ora, i cavalli non frangean la biada: 
dormian sognando il bianco della strada.

La paglia non battean con l’unghie vuote: 
dormian sognando il rullo delle ruote.

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: 
disse un nome... Sonò alto un nitrito.

Giovanni Pascoli