domenica 24 novembre 2013

La Piccola Fiammiferaia


Faceva molto freddo, nevicava e calava la sera – l’ultima sera dell’anno,
per l’appunto, la sera di San Silvestro.
Nel freddo e l'oscurità, una povera bimbetta girava per le strade,
a capo scoperto, a piedi nudi. Veramente, quand’era uscita di casa,
aveva certe babbucce; ma a che le erano servite?
Erano molto grandi, prima erano appartenute a sua madre, e così larghe
e sgangherate, che la bimba le aveva perdute, traversando in fretta
la via, per scansare due carrozze, che s’incrociavano con tanta furia…
Una non s’era più trovata, e l’altra se l’era presa un monello, dicendo che
ne avrebbe fatto una culla per il suo primo figliuolo.

E così la bambina camminava coi piccoli piedi nudi, fatti rossi e turchini
dal freddo: aveva nel vecchio grembiule una quantità di fiammiferi,
e ne teneva in mano un pacchetto. In tutta la giornata non era riuscita a venderne
nemmeno uno; nessuno le aveva dato un soldo; aveva tanta fame, tanto freddo,
e un visetto patito e sgomento, povera creaturina….
I fiocchi di neve le cadevano sui lunghi capelli biondi, sparsi in bei riccioli sul collo;
ma essa non pensava davvero ai riccioli! Tutte le finestre scintillavano di lumi;
per le strade si spandeva un buon odorino d’arrosto; era la vigilia del capo d’anno :
a questo ella pensava.

Nell’angolo formato da due case, di cui una sporgeva innanzi sulla strada,
sedette, abbandonandosi, rannicchiandosi tutta, tirandosi sotto le povere gambe.
Il freddo la prendeva sempre più ma la bimba non osava ritornare a casa:
riportava tutti i fiammiferi e nemmeno un soldino.
Il babbo l’avrebbe certo picchiata; e del resto, forse, non faceva freddo anche a casa ?
Abitavano proprio sotto il tetto, ed il vento ci soffiava tagliente, sebbene le fessure
più larghe fossero turate, alla meglio, con paglia e stracci. Le sue manine erano quasi
morte dal freddo. Ah, quanto bene le avrebbe fatto un piccolo fiammifero!
Se si arrischiasse a cavarne uno dallo scatolino, ed a strofinarlo sul muro
per riscaldarsi le dita… Ne cavò uno, e trracc ! Come scoppiettò, come bruciò!
Mandò una fiamma calda e chiara come una piccola candela, quando ella la parò con la manina.
Che strana luce! Pareva alla piccina d’essere seduta dinanzi ad una grande stufa di ferro,
con le borchie e il coperchio di ottone lucido: il fuoco ardeva così allegramente,
e riscaldava così bene!… La piccina allungava giù le gambe, per riscaldare anche quelle…
ma la fiamma si spense, la stufa scomparve , ed ella si ritrovò là seduta, con un pezzettino
di fiammifero bruciato tra le mani.

Ne accese un altro: anche questo bruciò, rischiarò, e il muro, nel punto in cui
batteva la luce, divenne trasparente come un velo. La bimba vide proprio dentro nella stanza,
dove la tavola era apparecchiata con una bella tovaglia, d’una bianchezza abbagliante e
con finissime porcellane; nel mezzo della tavola, l’oca arrostita fumava,tutta ripiena
di mele cotte e di prugne. Il più bello poi fu che l’oca stessa balzò fuori dal piatto, e ,
col trinciante ed il forchettone orientati nel dorso, si diede ad arrancare per la stanza,
dirigendosi proprio verso la povera bambina… Ma il fiammifero si spense,
e non vide più che il muro opaco e freddo.

La piccolina accese un terzo fiammifero. E si trovò sotto ad un magnifico albero,
ancora più grande e meglio ornato di quello che aveva veduto, attraverso i vetri dell’uscio,
nella casa del ricco negoziante, la sera di Natale.
Migliaia di lumi scintillavano tra i verdi rami, e certe figure colorate, come quelle che
si vedono esposte nelle vetrine dei negozi, guardavano la piccina.
Ella tese le mani… e il fiammifero si spense.
I lumicini di Natale volarono su in alto, sempre
più in alto: ed ella si avvide allora ch’erano stelle lucenti. Una stella cadde,
e segnò una lunga striscia di luce sul fondo del cielo.

- Qualcuno muore! – disse la piccola, perché la sua vecchia nonna ,l’unica persona
al mondo che l’avesse trattata amorevolmente – ma che purtroppo era morta,
la sua vecchia nonna le aveva detto: - Quando una stella cade, un’anima sale in paradiso.

Strofinò contro il muro un altro fiammifero, che mandò un grande chiarore tutto
intorno ed in quel chiarore la vecchia nonna apparve, tutta raggiante, e mite, e buona…
- Oh, nonna! – gridò la piccolina: - Prendimi con te!
So che tu sparisci, appena la fiammella si spegne, come sono spariti la bella stufa calda,
l’arrosto fumante, ed il grande albero di Natale! –

Presto presto, accese tutti insieme i fiammiferi che ancora rimanevano nella scatolina:
voleva trattenere la nonna.
I fiammiferi diedero tanta luce che nemmeno di pieno giorno è così chiaro:
la nonna non era mai stata così bella, così grande… Ella prese la bambina tra le sue braccia,
ed insieme volarono su, verso lo Splendore e la Gioia, su, in alto, dove non c’è più fame,
nè freddo, né angustia, - e giunsero presso Dio.

Ma nell’angolo tra le due case, allo spuntare della fredda alba, fu veduta la piccina,
con le gotine rosse ed il sorriso sulle labbra, morta assiderata nell’ultima notte del vecchio anno.
La prima alba dell’anno nuovo passò sopra il piccolo corpo, disteso là, con le scatole
dei fiammiferi, di cui una era quasi tutta bruciata.

Ha cercato di scaldarsi… - dissero.

Ma nessuno seppe tutte le belle cose che la bimba aveva visto;
nessuno seppe tra quanta luce era entrata, con la vecchia nonna, nella gioia dell'alba del Nuovo Anno.

Fiaba di Hans Christian Andersen

lunedì 18 novembre 2013

Hänsel e Gretel


Davanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna che non aveva di che sfamarsi; riusciva a stento a procurare il pane per sua moglie e i suoi due bambini: Hänsel e Gretel. Infine giunse un tempo in cui non pot‚ più provvedere neanche a questo e non sapeva più a che santo votarsi. Una sera, mentre si voltava inquieto nel letto, la moglie gli disse: "Ascolta marito mio, domattina all'alba prendi i due bambini, dai a ciascuno un pezzetto di pane e conducili fuori in mezzo al bosco, nel punto dov'è più fitto; accendi loro un fuoco, poi vai via e li lasci soli laggiù. Non possiamo nutrirli più a lungo." - "No moglie mia" disse l'uomo "non ho cuore di abbandonare i miei cari bambini nel bosco, le bestie feroci li sbranerebbero subito." - "Se non lo fai," disse la donna, "moriremo tutti quanti di fame." E non lo lasciò in pace finché‚ egli non acconsentì.

Anche i due bambini non potevano dormire per la fame, e avevano sentito quello che la madre aveva detto al padre. Gretel pensò che per loro fosse finita e incominciò a piangere amaramente, ma Hänsel disse: "Stai zitta Gretel, non ti crucciare, ci penserò io." Si alzò, si mise la giacchettina, aprì l'uscio da basso e sgattaiolò fuori. La luna splendeva chiara e i ciottoli bianchi rilucevano come monete nuove di zecca. Hänsel si chinò, ne ficcò nella taschina della giacca quanti pot‚ farne entrare e se ne tornò a casa. "Consolati Gretel e riposa tranquilla," disse; si rimise di nuovo a letto e si addormentò.

Allo spuntar del giorno, ancor prima che sorgesse il sole, la madre venne e li svegliò entrambi: "Alzatevi bambini, vogliamo andare nel bosco; qui c'è un pezzetto di pane per ciascuno di voi, ma siate saggi e conservatelo per mezzogiorno." Gretel mise il pane sotto il grembiule perché‚ Hänsel aveva le pietre in tasca, poi si incamminarono verso il bosco. Quando ebbero fatto un pezzetto di strada: Hänsel si fermò e si volse a guardare la casa; così fece per più volte. Il padre disse: "Hänsel, che cos'è che ti volti a guardare e perché‚ ti fermi? Su, muoviti!" - "Ah, babbo, guardo il mio gattino bianco che è sul tetto e vuole dirmi addio." Disse la madre: "Ehi, sciocco, non è il tuo gattino, è il primo sole che brilla sul comignolo." Hänsel però non aveva guardato il gattino, ma aveva buttato ogni volta sulla strada uno dei sassolini lucidi che aveva in tasca.

Quando giunsero in mezzo al bosco, il padre disse: "Ora raccogliete legna, bambini, voglio accendere un fuoco per non gelare." Hänsel e Gretel raccolsero rami secchi e ne fecero un mucchietto. Poi accesero il fuoco e quando la fiamma si levò alta, la madre disse: "Adesso stendetevi accanto al fuoco e dormite, noi andiamo a spaccare legna nel bosco; aspettate fino a quando non torniamo a prendervi."

Hänsel e Gretel rimasero accanto al fuoco fino a mezzogiorno, poi ciascuno mangiò il proprio pezzetto di pane. Credevano che il padre fosse ancora nel bosco perché‚ udivano i colpi d'accetta; invece era un ramo che egli aveva legato a un albero e che il vento sbattéva di qua e di là. Così attesero fino a sera, ma il padre e la madre non tornavano e nessuno veniva a prenderli. Quando fu notte fonda Gretel incominciò a piangere, ma Hänsel disse: "Aspetta soltanto un poco, finché‚ sorga la luna." E quando la luna sorse, prese Gretel per mano; i ciottoli brillavano come monete nuove di zecca e indicavano loro il cammino. Camminarono tutta la notte e quando fu mattina giunsero alla casa patema. Il padre si rallegrò di cuore quando vide i suoi bambini, poiché‚ gli era dispiaciuto doverli lasciare soli; la madre finse anch'essa di rallegrarsi, ma segretamente ne era furiosa.

Non passò molto tempo e il pane tornò a mancare in casa, e Hänsel e Gretel udirono una sera la madre che diceva al padre: "Una volta i bambini hanno ritrovato il cammino e io ho lasciato correre: ma adesso non c'è di nuovo più niente, rimane solo una mezza pagnotta in casa; devi condurli domani più addentro nel bosco, perché‚ non ritrovino la strada: per noi non c'è altro rimedio." L'uomo si sentì stringere il cuore e pensò: "Sarebbe meglio se dividessi l'ultimo boccone con i tuoi bambini." Ma siccome aveva già ceduto una volta, non pot‚ dire di no.

Quando i bambini ebbero udito quel discorso, Hänsel si alzò per raccogliere di nuovo i ciottoli, ma quando giunse alla porta, la madre l'aveva chiusa. Tuttavia consolò Gretel e disse: "Dormi, cara Gretel, il buon Dio ci aiuterà."

Allo spuntar del giorno ebbero il loro pezzetto di pane, ancora più piccolo della volta precedente. Per strada Hänsel lo sbriciolò in tasca; si fermava sovente e gettava una briciola per terra. "Perché‚ ti fermi sempre, Hänsel, e ti guardi intorno?" disse il padre. "Cammina!" - "Ah! Guardo il mio piccioncino che è sul tetto e vuole dirmi addio." - "Sciocco," disse la madre, "non è il tuo piccione, è il primo sole che brilla sul comignolo." Ma Hänsel sbriciolò tutto il suo pane e gettò le briciole per via.

La madre li condusse ancora più addentro nel bosco, dove non erano mai stati in vita loro. Là dovevano di nuovo sedere accanto al fuoco e dormire e alla sera i genitori sarebbero venuti a prenderli. A mezzogiorno Gretel divise il proprio pane con Hänsel, che aveva sparso tutto il suo per via. Ma passò mezzogiorno e passò anche la sera senza che nessuno venisse dai poveri bambini. Hänsel consolò Gretel e disse: "Aspetta che sorga la luna: allora vedrò le briciole di pane che ho sparso; ci mostreranno la via di casa." La luna sorse, ma quando Hänsel cercò le briciole non le trovò: i mille e mille uccellini del bosco le avevano viste e le avevano beccate. Hänsel pensava di trovare ugualmente la via di casa e si portava dietro Gretel, ma ben presto si persero nel grande bosco; camminarono tutta la notte e tutto il giorno, poi si addormentarono per la gran stanchezza. Poi camminarono ancora tutta una giornata, ma non riuscirono a uscire dal bosco, e avevano tanta fame, perché‚ non avevano nient'altro da mangiare che un po' di bacche trovate per terra.

Il terzo giorno, quand'ebbero camminato fino a mezzogiorno, giunsero a una casina fatta di pane e ricoperta di focaccia, con le finestre di zucchero trasparente. "Ci siederemo qui e mangeremo a sazietà," disse Hänsel. "Io mangerò un pezzo di tetto; tu, Gretel, mangia un pezzo di finestra: è dolce." Quando Gretel incominciò a rosicchiare lo zucchero, una voce sottile gridò dall'interno:

"Chi mi mangia la casina
zuccherosa e sopraffina?"
I bambini risposero:
"E' il vento che piega ogni stelo,
il bel bambino venuto dal cielo."
E continuarono a mangiare. Gretel tirò fuori tutto un vetro rotondo e Hänsel staccò un enorme pezzo di focaccia dal tetto. Ma d'un tratto la porta della casa si aprì e una vecchia decrepita venne fuori piano piano. Hänsel e Gretel si spaventarono tanto che lasciarono cadere quello che avevano in mano. Ma la vecchia scosse il capo e disse: "Ah, cari bambini, come siete giunti fin qui? Venite dentro con me, siete i benvenuti." Prese entrambi per mano e li condusse nella sua casetta. Fu loro servita una buona cena, latte e frittelle, mele e noci; poi furono preparati due bei lettini bianchi, e Hänsel e Gretel si coricarono e pensavano di essere in Paradiso.

Ma la vecchia era una strega cattiva che attendeva con impazienza l'arrivo dei bambini e, per attirarli, aveva costruito la casetta di pane. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, lo uccideva, lo cucinava e lo mangiava; e per lei quello era un giorno di festa. Era proprio felice che Hänsel e Gretel fossero capitati lì. Di buon mattino, prima che i bambini fossero svegli, ella si alzò, andò ai loro lettini, e quando li vide riposare così dolcemente, si rallegrò e mormorò fra sì: "Saranno un buon bocconcino per me!" Poi afferrò Hänsel e lo rinchiuse in una stia. Quando questi si svegliò, si trovò circondato da una grata, come un pollo da ingrassare, e poteva fare solo pochi passi. Poi la vecchia svegliò Gretel con uno scossone e le gridò: "Alzati, poltrona, prendi dell'acqua e vai in cucina a preparare qualcosa di buono; tuo fratello è là nella stia e voglio ingrassarlo per poi mangiarmelo; tu devi dargli da mangiare." Gretel si spaventò e pianse, ma dovette fare quello che voleva la strega.

Ora ad Hänsel venivano cucinati ogni giorno i cibi più squisiti, poiché‚ doveva ingrassare; Gretel invece non riceveva altro che gusci di gambero. Ogni giorno la vecchia veniva e diceva: "Hänsel, sporgi le dita, che senta se presto sarai grasso." Ma Hänsel le sporgeva sempre un ossicino ed ella si meravigliava che non volesse proprio ingrassare. Dopo quattro settimane, una sera disse a Gretel: "Vai a prendere dell'acqua, svelta; grasso o magro che sia, domani ammazzerò il tuo fratellino e lo cucinerò; nel frattempo mi metterò a impastare il pane da cuocere nel forno." Con il cuore grosso, Gretel portò l'acqua nella quale doveva essere cucinato Hänsel. Dovette poi alzarsi di buon mattino, accendere il fuoco e appendere il paiolo pieno d'acqua. "Ora fa' attenzione," disse la strega. "Accendo il fuoco nel forno per cuocere il pane." Gretel era in cucina e piangeva a calde lacrime mentre pensava: "Ci avessero divorato le bestie feroci nel bosco! Almeno saremmo morti insieme senza dover sopportare questa pena, e io non dovrei far bollire l'acqua che deve servire per la morte di mio fratello. Buon Dio, aiuta noi, miseri bambini!"

La vecchia gridò: "Gretel, vieni subito qui al forno!" e quando Gretel arrivò, disse: "Dai un'occhiata dentro se il pane è ben cotto e dorato; i miei occhi sono deboli e io non arrivo a vedere fin là. E se anche tu non ci riesci, siediti sull'asse: ti spingerò dentro, così potrai controllare meglio." Ma la perfida strega aveva chiamato Gretel perché‚ pensava, una volta spintala dentro al forno, di chiuderlo e di farla arrostire per mangiarsi pure lei. Ma Dio ispirò alla fanciulla un'idea, ed ella disse: "Non so proprio come fare, fammi vedere tu per prima: siediti sull'asse e io ti spingerò dentro." La vecchia si sedette e, siccome era leggera, Gretel pot‚ spingerla dentro, il più in fondo possibile; poi chiuse in fretta la porta e mise il paletto di ferro. Allora la vecchia incominciò a gridare e a lamentarsi nel forno bollente, ma Gretel scappò via, ed ella dovette bruciare miseramente.

Gretel corse da Hänsel, gli aprì la porticina e gridò: "Salta fuori, Hänsel, siamo liberi!" Allora Hänsel saltò fuori, come un uccello quando gli aprono la gabbia. Ed essi piansero di gioia e si baciarono. Tutta la casetta era piena di perle e di pietre preziose: essi se ne riempirono le tasche e se ne andarono in cerca della via che li riconducesse a casa. Ma giunsero a un gran fiume che non erano in grado di attraversare. Allora la sorellina vide un'anatrina bianca nuotare di qua e di là.

E le gridò:

"Ah,
cara anatrina,
prendici
sul tuo dorso."
Udite queste parole, l'anatrina si avvicinò nuotando e trasportò prima Gretel e poi Hänsel dall'altra parte del fiume. Dopo breve tempo ritrovarono la loro casa: il padre si rallegrò di cuore quando li rivide, poiché‚ non aveva più avuto un giorno di felicità da quando i suoi bambini non c'erano più. La madre invece era morta. Ora i bambini portarono ricchezze a sufficienza perché‚ non avessero più bisogno di procurarsi il necessario per vivere.

 FINE 
fratelli Grimm

domenica 17 novembre 2013

Cappuccetto Rosso



C'era una volta una dolce bimbetta; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna che non sapeva più che cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e poiché‚ le donava tanto, ed ella non voleva portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso. Un giorno sua madre le disse: "Vieni, Cappuccetto Rosso, eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è debole e malata e si ristorerà. Sii gentile, salutala per me, e va' da brava senza uscire di strada, se no cadi, rompi la bottiglia e la nonna resta a mani vuote."

"Sì, farò tutto per bene," promise Cappuccetto Rosso alla mamma, e le diede la mano. Ma la nonna abitava fuori, nel bosco, a una mezz'ora dal villaggio. Quando Cappuccetto Rosso giunse nel bosco, incontrò il lupo, ma non sapeva che fosse una bestia tanto cattiva e non ebbe paura. "Buon giorno, Cappuccetto Rosso," disse questo. "Grazie, lupo." - "Dove vai così presto, Cappuccetto Rosso?" - "Dalla nonna." - "Che cos'hai sotto il grembiule?" - "Vino e focaccia per la nonna debole e vecchia; ieri abbiamo cotto il pane, così la rinforzerà!" - "Dove abita la tua nonna, Cappuccetto Rosso?" - "A un buon quarto d'ora da qui, nel bosco, sotto le tre grosse querce; là c'è la sua casa, è sotto la macchia di noccioli, lo saprai già," disse Cappuccetto Rosso. Il lupo pensò fra s': Questa bimba tenerella è un buon boccone prelibato per te, devi far in modo di acchiapparla. Fece un pezzetto di strada con Cappuccetto Rosso, poi disse: "Guarda un po' quanti bei fiori ci sono nel bosco, Cappuccetto Rosso; perché‚ non ti guardi attorno? Credo che tu non senta neppure come cantano dolcemente gli uccellini! Te ne stai tutta seria come se andassi a scuola, ed è così allegro nel bosco!"

Cappuccetto Rosso alzò gli occhi e quando vide i raggi del sole filtrare attraverso gli alberi, e tutto intorno pieno di bei fiori, pensò: Se porto alla nonna un mazzo di fiori, le farà piacere; è così presto che arrivo ancora in tempo. E corse nel bosco in cerca di fiori. E quando ne aveva colto uno, credeva che più in là ce ne fosse uno ancora più bello, correva lì e così si addentrava sempre più nel bosco. Il lupo invece andò dritto alla casa della nonna e bussò alla porta. "Chi è?" - "Cappuccetto Rosso, ti porto vino e focaccia; aprimi." - "Non hai che da alzare il saliscendi," gridò la nonna, "io sono troppo debole e non posso alzarmi." Il lupo alzò il saliscendi, entrò, e senza dir motto andò dritto al letto della nonna e la inghiottì. Poi indossò i suoi vestiti e la cuffia, si coricò nel letto, e tirò le cortine.

Ma Cappuccetto Rosso aveva girato in cerca di fiori, e quando ne ebbe raccolti tanti che più non ne poteva portare, si ricordò della nonna e si mise in cammino per andare da lei. Quando giunse si meravigliò che la porta fosse spalancata, ed entrando nella stanza ebbe un'impressione così strana che pensò: "Oh, Dio mio, che paura oggi! e dire che di solito sto così volentieri con la nonna!" Allora si avvicinò al letto e scostò le cortine: la nonna era coricata con la cuffia abbassata sulla faccia, e aveva un aspetto strano. "Oh, nonna, che orecchie grandi!" - "Per sentirti meglio." - "Oh, nonna, che occhi grossi!" - "Per vederti meglio." - "Oh, nonna, che mani grandi!" - "Per afferrarti meglio." - "Ma, nonna, che bocca spaventosa!" - "Per divorarti meglio!" E come ebbe detto queste parole, il lupo balzò dal letto e ingoiò la povera Cappuccetto Rosso.

Poi, con la pancia bella piena, si rimise a letto, s'addormentò e incominciò a russare sonoramente. Proprio allora passò lì davanti il cacciatore e pensò fra s': "Come russa la vecchia! devi darle un'occhiata se ha bisogno di qualcosa." Entrò nella stanza e avvicinandosi al letto vide il lupo che egli cercava da tempo. Stava per puntare lo schioppo quando gli venne in mente che forse il lupo aveva ingoiato la nonna e che poteva ancora salvarla. Così non sparò, ma prese un paio di forbici e aprì la pancia del lupo addormentato. Dopo due tagli vide brillare il cappuccetto rosso, e dopo altri due la bambina saltò fuori gridando: "Che paura ho avuto! Era così buio nella pancia del lupo!" Poi venne fuori anche la nonna ancora viva. E Cappuccetto Rosso andò prendere dei gran pietroni con cui riempirono il ventre del lupo; quando egli si svegliò fece per correr via, ma le pietre erano così pesanti che subito cadde a terra e morì.

Erano contenti tutti e tre: il cacciatore prese la pelle del lupo, la nonna mangiò la focaccia e bevve il vino che le aveva portato Cappuccetto Rosso; e Cappuccetto Rosso pensava fra s': "Mai più correrai sola nel bosco, lontano dal sentiero, quando la mamma te lo ha proibito."

Raccontano pure che una volta Cappuccetto Rosso portava di nuovo una focaccia alla vecchia nonna, e un altro lupo le aveva rivolto la parola, cercando di convincerla a deviare dal sentiero Ma Cappuccetto Rosso se ne guardò bene, andò dritta per la sua strada e disse alla nonna di aver visto il lupo che l'aveva salutata, guardandola però con occhi feroci: "Se non fossimo stati sulla pubblica via, mi avrebbe mangiata!" - "Vieni," disse la nonna, "chiudiamo la porta perché‚ non entri." Poco dopo il lupo bussò e disse: "Apri, nonna, sono Cappuccetto Rosso, ti porto la focaccia." Ma quelle, zitte, non aprirono; allora il malvagio gironzolò un po' intorno alla casa e alla fine saltò sul tetto per aspettare che Cappuccetto Rosso, a sera, prendesse la via del ritorno: voleva seguirla di soppiatto per mangiarsela al buio. Ma la nonna capì le sue intenzioni. Davanti alla casa c'era un grosso trogolo di pietra, ed ella disse alla bambina: "Prendi il secchio, Cappuccetto Rosso; ieri ho cotto le salsicce, porta nel trogolo l'acqua dove han bollito." Cappuccetto Rosso portò tanta acqua, finché‚ il grosso trogolo fu ben pieno. Allora il profumo delle salsicce salì alle nari del lupo; egli si mise a fiutare e a sbirciare giù, e alla fine allungò tanto il collo che non potè più trattenersi e incominciò a scivolare: scivolò dal tetto proprio nel grosso trogolo e affogò. Invece Cappuccetto Rosso tornò a casa tutta allegra e nessuno le fece del male.


Fiaba - Fratelli Grimm

venerdì 15 novembre 2013

Il Negromante



Bentrovati!
Oggi vi propongo una fiaba popolare che sicuramente molti di voi già conosceranno ma altrettante volte altri non conoscono,vi invito alla lettura di questa fiaba popolare,perchè penso che sia molto interessante da leggere e tante volte in taluni racconti c'è sempre qualcosa da imparare!

Buona lettura.

C'era una volta un re, che aveva una figlia in età da marito. La ragazza non voleva affatto sposarsi, ma il re, essendo ormai vecchio, era deciso a trovargliene uno di suo gradimento. Le mostrò i ritratti di giovani nobili, ma nessuno piacque alla sua incontentabile figliola.

Pensò allora di organizzare una festa con tanti invitati, tra i quale lei potesse scegliere il giovane più bello.
Alla festa tanti giovani si presentarono alla principessa, chiedendole di ballare, ma lei rifiutava sempre. Stanco, il re le chiese di decidersi e la figlia promise che avrebbe sposato colui che si fosse presentato da lei.

Si presentò un signore ben vestito che la invitò a ballare. La principessa accettò e tutti applaudirono. Il giovane si dichiarò di essere il re dei Reali di Francia.

Fu organizzato il matrimonio; soltanto dopo le nozze il giovane svelò alla sposa di essere un negromante e non il re dei reali di Francia. Per scioglierla dal vincolo matrimoniale, disse, occorrevano sette fratelli di mestiere diverso. La chiuse in cima alla torre e la legò al letto.

Intanto il re si ammalò. Non avendo notizie della figliola, ragionava con una colomba, sperando che potesse portargli notizie della figlia. La colomba volò a lungo e si posò sulla torre e vide la principessa legata a un letto. Le si avvicinò e le disse che il re l’aveva mandata a cercare notizie.

La colomba le propose di toglierle una penna dalle ali, di scrivere con il sangue notizie sul suo grembiule bianco. Su quel grembiule la poveretta scrisse di essere sposata a un negromante che, per liberarla, richiedeva sette fratelli di diversa professione; scrisse di essere legata al letto e di non avere più pace. Legò il pezzo di grembiule all’ala della colomba, che volò via.

Il re si mise a cercare i sette fratelli e, per fortuna, si presentarono a lui sette fratelli specializzati ciascuno in un’arte particolare.
Il primo, poggiando l’orecchio per terra, riusciva a sentire ciò che accadeva nel mondo; il secondo, sputando per terra, riusciva a formare un fiume; il terzo era in grado di togliere un uovo alla gallina senza che se ne accorgesse; il quarto riusciva a salire le muraglie senza cadere; il quinto riparava le macine per aria; il sesto era in grado di scavare un abisso fra sè e gli altri; il settimo, battendo una mazzetta per terra, faceva nascere un palazzo.

Il re inviò i sette fratelli contro il negromante. Il primo mise l’orecchio per terra e vide il negromante addormentato. Quello che scalava le muraglie salì sulla torre. Colui che riusciva a togliere l’uovo alla galline sciolse la regina senza che il negromante lo sentisse. Ma il primo, che vedeva tutto, scoprì che il negromante s’era svegliato e non aveva trovato la moglie legata al letto.

Cominciò a correre (essendo un diavolo correva velocissimo) e stava per raggiungere i sette fratelli. Il secondo, sputando per terra, pose un fiume tra loro e il malvagio. Ma il negromante aveva già attraversato il fiume e si avvicinava sempre più. Allora uno di loro, battendo la mazzetta per terra, fece sorgere un palazzo; si rifugiarono in esso per non essere presi dal negromante. Ma lui si trasformò in un bellissimo uccello e volò vicino alla regina, la quale disse: Che bel canarino e lo accarezzò, ma l’uccello si trasformò e riapparve il negromante.

Il fratello che sapeva scavare abissi fece il vuoto dietro di sé, lasciando il negromante sbalordito, mentre loro correvano a perdifiato e raggiunsero il palazzo reale. A quel punto il negromante, disperato, si strappò i capelli dalla rabbia. Il re vide che la sua figliola stava benino e tutto contento organizzò una festa e ricompensò bene i sette fratelli.

Ballata delle contraddizioni


Je meurs de seuf auprés de la fontaine,
chault comme feu et temble dent e dent,
en mon pays suis en terre loingtaine,
lez ung brasier frissonne tout ardent,
nu comme un ver, vestu en president,
je riz en pleurs et attens sans espoir,
confort reprens en triste desespoir,
je m'esjouys et n'ay plaisir aucun,
piussant je suois sans fore et sans pouoir,
ien recueully, debouté de chascun.

Rien ne m'est seur que la chose incertaine,
obscur fors ce qui est tout evident,
doubte ne fais fors en chose certaine,
sience tiens a soudain accident,
je gaigne tout et demeure perdent,
au point du jour diz :"Dieu vous doint bon soir",
gisant envers lìay grant paeur de cheoir,
j'ay bien de quoy et si n'en ay pas ung,
echoicte actens et d'ome ne suis hoir,
bien recueully, debouté de chascun.

Muoio di sete vicino alla fontana,
caldo come il fuoco tremo verga a verga,
nel mio paese sono in terra lontana,
presso il braciere tremo tutto ardente,
nudo come un verme, vesto da presidente,
rido piangendo e attendo senza speme,
mi riconforto in triste disperare,
mi rallegro e non ho alcun piacere,
sono potente senza forza nè potere,
ben ricevuto, da tutti rifiutato.

Niente mi è certo se non cosa incerta,
oscuro se non ciò che è evidente,
non nutro dubbi se non su cosa certa,
la scienza reputo un fortuito accidente,
guadagno sempre e sempre son perdente,
dico al mattino: "Dio vi dia la buona sera",
giaccio sul dorso e ho paura di cadere,
ho quanto basta e non possiedo un soldo,
conto su un lascito e non sono erede,
ben ricevuto, da tutti rifiutato.

François Villon

lunedì 11 novembre 2013

Un'ora esiste..

Un'ora esiste conosciuta a molti
nera e rada. Che nella campagna
le bestiole abbandonano la cerca,
lenta è ogni persona, gli edifici sono chiusi.
Dico della notte di luglio se è tutta muta.
Hanno ripreso a tremare nella loro tana sparuta
le famiglie dei ricci, vittime sotto le stelle
di raggi ultraterreni o feroci veleni,
cieche alle alte cose che a noi paiono belle.
O rive smorte, incanti grigi, ire disseccate.
Capovolto il capo nei sonni ostinati
la genemzione dei dormenti precipitando
sente che mai potrà destarsi.


Franco Fortini 

Il temporale

La cagna Dora inquieta fissa il giallo
dei nuvoli e del mare
l'indaco. È la bufera
che s'annunzia. Stasera
saranno lampi e fulmini, il gran crollo
degtr elementi; e dentro l'aria nera
vacilleranno i culmini dei tetti
e correranno i letti
risa, grida, spaventi.
Voleranno le tegole nell'orto
e le schiume sul mare.
Noi tutti desti e tesi ad ascoltare
cigolii di carene, di lamiere
stîaziate strida e il tuono
di enormi onde sui moli alti del porto.

Domani pace avrà riavuto tutto.
Quieta l'onda e al suo luogo,
molle la spiaggia e pura,
ardita la natura
e ilare, deserto
di barche l'orizzonte.
aguzzo il sole alle socchiuse ciglia.
Vivida meraviglia.
chiara lassú la luna.
E andremo per le rive
a cogliere tra fredde bave linda
e bruna una conchiglia.

Franco Fortini 

sabato 2 novembre 2013

Fantasia



Lascia sempre vagare la fantasia,
È sempre altrove il piacere:
E si scioglie, solo a toccarlo, dolce,
Come le bolle quando la pioggia picchia;
Lasciala quindi vagare, lei, l’alata,
Per il pensiero che davanti ancor le si stende;
Spalanca la porta alla gabbia della mente,
E, vedrai, si lancerà volando verso il cielo.


John Keats

Le stagioni umane



Quattro stagioni fanno intero l'anno,
quattro stagioni ha l'animo dell'uomo.
Egli ha la sua robusta Primavera
quando coglie l'ingenua fantasia
ad aprire di mano ogni bellezza;
ha la sua Estate quando ruminare
il boccone di miel primaverile
del giovine pensiero ama perduto
di voluttà, e così fantasticando,
quanto gli è dato approssimarsi al cielo;
e calmi ormeggi in rada ha nel suo Autunno
quando ripiega strettamente le ali
pago di star così a contemplare
oziando le nebbie, di lasciare
le cose belle inavvertite lungi
passare come sulla siglia un rivo.
Anche ha il suo Inverno di sfiguramento
pallido, sennò forza gli sarebbe
rinunciare alla sua mortal natura.


John Keats