domenica 26 gennaio 2014

I Sei Cigni



Una volta un re cacciava in una gran foresta e inseguiva la selvaggina con tanto ardore che nessuno del suo seguito riuscì a tenergli dietro. Infine, non riuscendo a trovare la via del ritorno, si rese conto di essersi smarrito. D'un tratto vide avvicinarsi una vecchia curva e con la testa tremante: era una strega. Il re le rivolse la parola dicendole: -Indicatemi il cammino per attraversare il bosco-. -Oh sì, maestà- rispose ella -ma a condizione che sposiate mia figlia facendo di lei una regina, altrimenti sarete costretto a rimanere qui e morire di fame poiché‚, senza il mio aiuto, non riuscirete mai a uscire dal bosco.- Il re, al quale era cara la vita, impaurito acconsentì, e si lasciò condurre dalla fanciulla. Ella era molto bella, ma al re non piaceva, e non poteva guardarla senza provare un intimo ribrezzo. La strega li condusse entrambi sulla via che menava al castello e, quando vi giunsero, il re dovette mantenere la propria parola e sposare la ragazza. Il re era vedovo e aveva avuto dalla prima moglie sei maschietti e una bambina, e li amava più di ogni altra cosa al mondo. Temendo che la matrigna potesse fare loro del male, li portò in un castello solitario, sito in mezzo a un bosco. La strada per arrivarvi era così difficile da trovare che egli stesso non l'avrebbe trovata se una maga non gli avesse dato un gomitolo di filo che, gettato a terra, si svolgeva da solo e indicava il cammino. Ma il re si recava così sovente dai suoi cari figlioletti,che la regina finì coll'accorgersene e, curiosa, volle sapere cosa andasse a fare il re da solo nella foresta. Riuscì a corrompere i servi e questi le rivelarono il segreto. Per prima cosa, ella si impossessò del gomitolo con l'astuzia, poi fece sette piccole camicine e si mise in cammino. Il gomitolo le indicò la strada e i sei bambini, vedendo arrivare qualcuno, pensarono che si trattasse del loro babbo e pieni di gioia gli corsero incontro. Allora ella gettò una camicina su ciascuno, e non appena questa sfiorò il corpo, essi si trasformarono in cigni e se ne volarono via per la foresta. La regina se ne andò a casa convinta di essersi liberata dei figliastri; ma la bambina non le era corsa incontro con i fratelli, e la matrigna non sapeva della sua esistenza. Il giorno seguente venne il re ma non trovò nessuno all'infuori della bambina che gli raccontò di aver visto, dalla sua finestra, volar via i suoi cari fratelli trasformati in cigni; e gli mostrò le piume che avevano lasciato cadere nel cortile e che ella aveva raccolto. Il re ne fu molto afflitto, ma non pensò che fosse stata la regina a compiere il maleficio e, temendo che gli rapissero anche la bambina, voleva portarla con s‚. Ma ella aveva paura della matrigna e pregò il padre di lasciarle trascorrere una notte nel castello del bosco. Quando si fece buio, la fanciulla fuggì addentrandosi nel bosco. Camminò tutta la notte e anche il giorno dopo senza mai fermarsi, finché‚ non pot‚ più proseguire, vinta dalla stanchezza Allora vide una capanna, salì e trovò una stanza con sei lettini e, non osando coricarsi in nessuno di essi, vi si cacciò sotto, sdraiandosi sul pavimento per passarvi la notte. Al calar del sole udì un frullar d'ali e vide sei cigni entrare volando dalla finestra. Essi si posarono a terra e si soffiarono addosso l'un l'altro, fino a farsi cadere tutte le piume di dosso; e la pelle di cigno si tolse come una camicia. La fanciulla li osservò e vide che erano i suoi fratelli; allora, piena di gioia, sbucò fuori dal letto. Anch'essi si allietarono nello scorgere la loro sorellina, ma, ben presto, si fecero tristi e dissero: -Qui non puoi rimanere, questo è un covo di briganti, se tornano a casa e ti trovano, ti uccideranno-. -Voi non potete proteggermi?- domandò la sorellina. -No- risposero -soltanto per un quarto d'ora ogni sera possiamo deporre la nostra pelle di cigno e riprendere le sembianze umane; ma poi ci trasformiamo nuovamente.- -E io non posso liberarvi in qualche modo?- chiese la sorellina. -Ah no- risposero -sarebbe troppo difficile: per sei anni non puoi ridere n‚ parlare e nel frattempo devi cucire per noi sei camicine di astri. Se pronunci una sola parola, tutto è perduto.- Detto questo, il quarto d'ora era trascorso e i fratelli tornarono a trasformarsi in cigni. Ma la fanciulla disse fra s‚: -Voglio liberare i miei fratelli ad ogni costo, dovesse costarmi la vita-. La mattina dopo andò a raccogliere astri, andò a sedersi su di un albero alto e si mise a cucire. Non poteva parlare con nessuno n‚ aveva voglia di ridere: sedeva e non faceva altro che lavorare. Era già passato molto tempo, quando il re del paese andò a caccia nel bosco e i suoi cacciatori giunsero all'albero sul quale la ragazza sedeva e cuciva. Essi le gridarono: -Chi sei? Vieni giù!-. Ma ella non rispose e si limitò a scuotere il capo. Essi ricominciarono a chiamarla e la fanciulla gettò loro la sua catenina d'oro pensando di accontentarli. Ma siccome quelli non la lasciavano in pace, gettò loro la cintura, e visto che neanche questo servì, le giarrettiere, e infine tutto ciò che aveva indosso e di cui poteva privarsi, sicché‚ alla fine rimase in camicia. Ma i cacciatori non erano soddisfatti, salirono sull'albero, presero la fanciulla e la portarono al re. Il re le chiese: -Chi sei? Di dove vieni?- e glielo chiese in tutte le lingue che sapeva, ma ella non rispose e rimase muta come un pesce. Ella era tanto bella, che egli non aveva mai visto nessuna donna di pari avvenenza e si innamorò ardentemente. Così l'avvolse nel suo mantello, la mise sul suo cavallo e la portò al castello. Là le fece indossare ricche vesti, sicché‚ ella pareva sfolgorare nella sua bellezza come la luce del giorno, ma non si riuscì a farla parlare. A tavola il re la fece sedere al suo fianco e fu così colpito dalla modestia e dalla sua grazia che disse: -Questa sarà la mia sposa, e nessun'altra al mondo!-. E, dopo qualche giorno, si celebrarono le nozze. Ma il re aveva una madre cattiva, che non era contenta di quel matrimonio e parlava male della giovane regina. -Chissà da dove viene quella ragazzaccia che non sa parlare!- diceva. -Non è degna di un re!- Dopo un anno, quando la regina diede alla luce il suo primogenito, la vecchia glielo portò via e le spalmò la bocca di sangue. Poi andò dal re e la accusò di essere un'orchessa. Ma il re non volle crederle, tanto grande era il suo amore, e non permise che le torcessero un capello. Intanto la regina continuava a cucire le sue camicie senza curarsi d'altro. La seconda volta partorì un altro bel maschietto, e la perfida suocera usò lo stesso artificio; ma il re non pot‚ risolversi a prestar fede alle sue parole e disse: -E' muta e non può difendersi, sennò manifesterebbe la sua innocenza-. Ma quando la vecchia rapì il neonato per la terza volta e accusò la regina che non disse una parola a propria discolpa, il re fu costretto a consegnarla al tribunale che la condannò a morire bruciata viva. Venuto il giorno dell'esecuzione, ecco trascorso anche l'ultimo giorno dei sei anni durante i quali ella non aveva potuto n‚ ridere n‚ parlare per poter liberare i suoi cari fratelli dal potere dell'incantesimo. Le sei camicie erano pronte, soltanto all'ultima mancava ancora la manica sinistra. Quando la condussero al rogo, le prese con s‚ e, mentre stavano per appiccare il fuoco, alzò gli occhi e vide sei cigni giungere a volo per l'aria. Allora il cuore le balzò in petto dalla gioia e disse fra s‚: -Ah, Dio, finalmente questo tempo così duro volge alla fine!-. Con un frullar d'ali, i cigni si posarono accanto a lei, sicché‚ ella pot‚ gettare loro addosso le camicie: come ne furono sfiorati, le pelli di cigno caddero ed essi le stettero innanzi sani e salvi; solo il più giovane al posto del braccio sinistro aveva un'ala di cigno attaccata alla schiena. S'abbracciarono e si baciarono, poi la regina andò dal re che stava a guardare attonito. -Carissimo sposo- disse -finalmente mi è concesso di parlare e posso dirti di essere stata accusata ingiustamente.- E gli raccontò come la vecchia l'avesse calunniata in modo esecrabile e tenesse nascosti i suoi tre bambini. Allora furono mandati a prendere con grande gioia del re, mentre, per castigo, la cattiva suocera fu legata al rogo e ridotta in cenere. Il re, la regina e i sei fratelli vissero a lungo felici e contenti.

 FINE 
I Fratelli Grimm

sabato 25 gennaio 2014

Le Tre Piume



C'era una volta un re che aveva tre figli: due erano intelligenti e avveduti, mentre il terzo parlava poco, era semplice, e lo chiamavano il Grullo. Quando il re diventò vecchio e pensò alla sua fine, non sapeva quale dei figli dovesse ereditare il regno dopo la sua morte. Allora disse loro: "Andate, colui che mi porterà il tappeto più sottile diventerà re dopo la mia morte." E perché‚ non litigassero fra di loro, li condusse davanti al castello, soffiando fece volare in aria tre piume e disse: "Dovete seguire il loro volo." Una piuma volò verso oriente, l'altra verso occidente, mentre la terza se ne volò diritto e non arrivò molto lontano, ma cadde a terra ben presto. Così un fratello andò a destra, l'altro se ne andò a sinistra; il Grullo invece fu deriso perché‚ dovette fermarsi là dov'era caduta la terza piuma.

Il Grullo si mise a sedere tutto triste. D'un tratto scorse una botola accanto alla piuma. L'aprì e discese una scala venendosi a trovare davanti a un'altra porta; bussò e sentì gridare dall'interno:
"Oh, Donzelletta verde e piccina
Dalla zampa secca,
Sparuta cagnolina,
Ehi proprio tu, stammi a sentire,
Chi c'è là fuori mi devi dire!"
La porta si aprì ed egli vide un rospo grande e grosso, con tanti piccoli rospetti attorno. Il rospo grande gli domandò che cosa egli desiderasse. Rispose: "Un tappeto che sia il più bello e il più sottile di tutti." Allora il rospo chiamò uno dei suoi rospetti e disse:
"Oh, Donzellettaverde e piccina
Dalla zampa secca,
Sparuta cagnolina,
Ehi proprio tu, stammi ad ascoltare,
Proprio la scatola mi devi portare!"
La bestiola andò a prendere la scatola e il rospo grande l'aprì e diede al Grullo un tappeto, bello e sottile come nessun altro sulla terra. Il Grullo ringraziò e se ne tornò a casa.

Gli altri due fratelli credevano che il minore fosse tanto sciocco che non sarebbe stato in grado di trovare nulla. "Perché‚ darsi la pena di cercare tanto!" dissero; tolsero alla prima pecoraia che incontrarono le rozze vesti e le portarono al re. In quella arrivò anche il Grullo con il suo bel tappeto, e quando il re lo vide si meravigliò e disse: "Il regno spetta al più giovane." Ma gli altri due non gli diedero pace, dicendo che era impossibile che il Grullo diventasse re; e lo pregarono di porre un'altra condizione. Allora il padre disse: "Erediterà il regno colui che mi porterà l'anello più bello." Condusse fuori i tre fratelli e soffiò in aria le piume che essi dovevano seguire. I due maggiori se ne andarono di nuovo verso oriente e verso occidente, mentre la piuma del Grullo volò dritta e cadde accanto alla botola. Egli scese di nuovo dal grosso rospo e gli disse che aveva bisogno dell'anello più bello del mondo. Il rospo si fece portare la scatola e gli diede un anello bellissimo, quale nessun orefice sulla terra avrebbe mai saputo fare. I due fratelli maggiori si fecero beffe del Grullo che andava in cerca di un anello d'oro, e non si diedero molta pena: schiodarono un anello da un vecchio timone e lo portarono al re. Ma quando questi vide lo splendido anello che aveva portato il Grullo, disse: "Il regno spetta a lui." Ma i due maggiori tormentarono tanto il re finché egli pose una terza condizione e stabilì che avrebbe ottenuto il regno chi avesse portato a casa la donna più bella. Tornò a soffiare in aria le tre piume, che volarono come le altre volte.

Allora il Grullo si recò per la terza volta dal rospo e disse: "Devo portare a casa la donna più bella." - "Accidenti!" rispose l'animale, "la donna più bella! Sarai tu ad averla." Gli diede una zucca cui erano attaccati sei topolini. "Che me ne faccio," pensò il Grullo tutto triste. Ma il rospo disse: "Adesso mettici dentro uno dei miei rospetti." Egli ne prese uno a caso e lo mise nella zucca; ma non appena l'ebbe sfiorato, il rospo si tramutò in una bellissima fanciulla, la zucca divenne una carrozza e i sei topolini, sei cavalli. Salirono in carrozza, e il giovane baciò la fanciulla e la portò al re. Giunsero anche i fratelli, che avevano sottovalutato a tal punto il fratello da condurre con s‚ le prime contadine che avevano incontrato. Allora il re disse: "Dopo la mia morte il regno toccherà al minore." Ma i due maggiori ricominciarono di nuovo a protestare dicendo di non poter ammettere che il Grullo diventasse re, e pretesero che avesse la preferenza quello la cui moglie era in grado di saltare attraverso un cerchio appeso in mezzo alla sala. Essi infatti pensavano: "Le contadine sono forti e ci riusciranno, la delicata fanciulla invece si ammazzerà saltando." Il re accordò anche questa prova. Le due contadine saltarono e riuscirono sì ad attraversare il cerchio, ma erano così sgraziate che caddero a terra spezzandosi braccia e gambe. Poi saltò la bella fanciulla che il Grullo aveva portato con s'; saltò attraverso l'anello con agilità estrema e conquistò il regno. Alla morte del re, il Grullo ereditò così la corona e regnò a lungo con grande saggezza.


FINE 
I Fratelli Grimm

La Pioggia Di Stelle



C'era una volta una bambina, che non aveva più nè babbo nè mamma, ed era tanto povera, non aveva neanche una stanza dove abitare nè un lettino dove dormire; insomma, non aveva che gli abiti indosso e in mano un pezzetto di pane, che un'anima pietosa le aveva donato. Ma era buona e brava e siccome era abbandonata da tutti, vagabondò qua e là per i campi fidando nel buon Dio.

Un giorno incontrò un povero, che disse: "Ah, dammi qualcosa da mangiare! Ho tanta fame!" Ella gli porse tutto il suo pezzetto di pane e disse: "Ti faccia bene!" e continuò la sua strada. Poi venne una bambina, che si lamentava e le disse: "Ho tanto freddo alla testa! Regalami qualcosa per coprirla." Ella si tolse il berretto e glielo diede. Dopo un pò ne venne un'altra bambina, che non aveva indosso neanche un giubbetto e gelava; ella le diede il suo. E un pò più in là un'altra le chiese una gonnellina, ella le diede la sua. Alla fine giunse in un bosco e si era già fatto buio, arrivò un'altra bimba e le chiese una camicina; la buona fanciulla pensò: "E' notte fonda nessuno ti vede puoi ben dare la tua camicia." Se la tolse e diede anche la camicia.

E mentre se ne stava là, senza più niente indosso, d'un tratto caddero le stelle dal cielo, ed erano tanti scudi lucenti e benchè avesse dato via la sua camicina ecco che ella ne aveva una nuova, che era di finissimo lino. Vi mise dentro gli scudi e fù ricca per tutta la vita.


FINE 
I Fratelli Grimm

martedì 14 gennaio 2014

Se Ami Non Piangere


Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli
al confronto.Mi è rimasto l’affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.
Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!


Padre G. Perico - Sant’Agostino

domenica 12 gennaio 2014

Il Sale



In una bellissima città della Russia viveva un tempo un ricco mercante che aveva tre figlioli: Fedor, Vassilij e Ivan. I primi due erano abili e svelti negli affari, ma il minore non rivelava alcuna inclinazione per questo genere di attività, perciò il padre aveva ben poca stima di lui, e i fratelli ancor meno. Un giorno il vecchio mercante chiamò i due figli maggiori e disse:
- E' tempo che mi diate un aiuto e dimostriate che cosa sapete fare. Ho allestito per voi due navi cariche di mercanzie preziose: tappeti, pellicce. Essenza odorose, legni pregiati. Fate vela per qualche porto lontano e commerciate: vedrò, al vostro ritorno, che di voi due avrà saputo far fruttare meglio la sua ricchezza. Vi do un anno di tempo.
I due fratelli furono contentissimi e si prepararono a partire; ma il terzo, poiché non gli era stato affidato alcun incarico, incominciò a lamentarsi:
- Padre mio, perché mai non avete fatto allestire una nave anche per me?
- Perché tu non hai il bernoccolo degli affari. Sciuperesti la roba e torneresti a mani vuote.
- Forse no! Lasciatemi provare, come i miei fratelli.
Ivan tanto pregò e supplicò che finalmente il padre si decise ad affidargli una nave; ma non volendo metter in gioco mercanzie rare, convinto di non rivederle più, fece caricare la nave di pali, assi e tavole di legno di infimo valore. Così che Ivan poté partire, e il vento gli fu tanto favorevole che in tre giorni raggiunse i suoi fratelli. Veleggiarono per un po' l'uno dietro l'altro, ma a un tratto li colse una burrasca che sconvolse il mare e scatenò un vento furioso: le tre navi si dispersero, e quando ritornò il sereno, Ivan si accorse di essere rimasto solo. Senza sgomentarsi, il giovane continuò il suo viaggio, e dopo qualche tempo approdò a un'isola sconosciuta. "Chissà che non possa fare buoni affari, qui?" pensò; e scese a terra accompagnato dai marinai. Ma l'isola sembrava deserta e non si vedeva in giro né una capanna né un uomo. La spiaggia, tutta la terra e anche un'alta montagna erano ricoperte di una polvere bianca e scintillante. "Forse sbaglio, ma questo è sale" pensò Ivan. Ne raccolse un pizzico e l'assaggiò. Era sale davvero, e il giovane, assai contento pensando ai guadagni che avrebbe potuto ricavarne, ordinò:
- Gettate in acqua assi e pali e fate, invece, un carico di sale.
Così fu fatto; il bastimento riprese il mare e veleggiò per molto tempo fino a quando giunse al porto di una grande e ricca città. Sceso a terra, Ivan seppe che proprio in quel luogo viveva lo zar. Allora, dopo aver riempito un sacchetto di sale, si fece indicare il palazzo reale e chiese di essere ricevuto.
- Che cosa vuoi straniero? - gli chiese lo zar - Vedo che arrivi da lontano: hai qualcosa da mostrarmi?
- Maestà, io vendo sale - rispose Ivan - vorrei vendere a voi e a tutti gli abitanti della città.
- Sale? Non so cosa sia. Mostrami questa tua strana merce.
Subito il giovane aprì il sacchetto, ma il sovrano scoppiò a ridere:
- Questa è soltanto sabbia molto bianca! Mi dispiace per te, straniero, ma da noi questa roba non si vende: si regala! Vattene in pace e torna soltanto quando potrai mostrarmi qualcosa di meglio.
Ivan uscì dal palazzo molto deluso, e pensò "Aveva ragione mio padre: ho fatto soltanto un cattivo affare! Tuttavia voglio entrare nelle cucine reali per vedere che specie di sale mettono nelle vivande". Si presentò al capocuoco e chiese di potersi sedere accanto al fuoco per riscaldarsi e riposare.
- Entra, fratello, e riposati quanto vuoi - rispose il capocuoco, e Ivan, dalla sua panca, poté osservare il personale di cucina che preparava le pietanze dello zar.
Chi manipolava la pasta, chi rimestava, chi puliva i pesci, che faceva rosolare l'arrosto: cuochi e cuoche aggiungevano nelle vivande erbe aromatiche e spezie di ogni genere: ma di sale neanche l'ombra. Quando il pranzo fu pronto, tutti uscirono per imbandire la mensa, e Ivan, rimasto solo, aperse il suo sacchetto e gettò rapidamente un pizzico di sale nelle pentole e nei tegami. Poi sgattaiolò fuori e tornò alla sua nave. Quel giorno, a tavola, lo zar ebbe una serie di sorprese: la minestra era squisita, il pesce aveva un sapore delicato e persino il dolce era più buono del solito. Allora chiamò i cuochi.
- E' la prima volta che assaggio cibi così gustosi! Come li avete cucinati?
- Come il solito, maestà - risposero i cuochi - Non riusciamo a capire neppure noi perché oggi il pranzo sia uscito così bene.
- Però - esclamò ad un tratto il capocuoco - in cucina c'era uno straniero, che, adesso, è tornato alla sua nave. Forse egli ne sa qualcosa.
- Venga subito alla mia presenza - comandò lo zar; e non appena Ivan si presentò, gli chiese con voce irata: - Che cosa hai aggiunto nelle mie vivande?
Ivan si gettò in ginocchio: - Perdonatemi, maestà: ho nei cibi un pizzico di sale. Dalle nostre parti si usa così.
- E' meraviglioso! - esclamò lo zar - Comprerò io, tutto il tuo sale. Quanto chiedi?
- Poco: per ogni misura di sale, voglio una misura d'oro e una misura d'argento.
- E' un prezzo conveniente. Fa scaricare la nave mentre io preparerò il compenso.
Così fu fatto. Per scaricare il sale occorsero tre giorni, e altrettanti per caricare l'oro e l'argento. La stiva fu tanto piena che non ne sarebbe entrato un grammo di più. Il giovane Ivan era già pronto a spiegare le vele, quando al porto giunse la figlia dello zar accompagnata dalle damigelle.
- Straniero, non ho mai visitato una nave - disse la fanciulla - posso veder questa?
Ivan fu ben contento di fare da guida alla bella principessa, ma mentre la conduceva sul ponte, il cielo si oscurò e sul mare scoppiò una violenta burrasca. Trascinata dal vento, la nave ruppe gli ormeggi e fu spinta a tale distanza che quando ritornò il sereno, la terra non si vedeva più. La principessa si mise a piangere, e Ivan cercò di consolarla:
- E' il destino che vuole così: ti farò conoscere il mio paese, e se vorrai ci sposeremo.
Ivan era un bel giovane: la principessa sorrise. Il viaggio continuò allegramente, e dopo molti giorni furono avvistate altre due navi. Erano i fratelli di Ivan che facevano ritorno in patria. Ivan li salutò con gioia, e ingenuo e semplice com'era, presentò loro la bella principessa mostrò le sue ricchezze, convinto che i fratelli ne avrebbero gioito con lui. Ma i fratelli invece divennero verdi per l'invidia e il dispetto e guardarono il giovane con occhi cattivi: poi presero a confabulare tra loro. Quella notte, mentre Ivan dormiva, Vassilij e Fedor lo afferrarono e lo gettarono in mare. Poi comandarono minacciosamente la principessa di non fiatare e ripresero il viaggio verso casa. Intanto Ivan, toccato il fondo marino, era svenuto. Quando riaperse gli occhi si trovò seduto sopra uno scoglio, vicino a un gigante che toccava il fondo del mare con i piedi, e usciva dall'acqua fino ai gomiti.
- Ti ho salvato io - spiegò il giovane che aveva i baffi lunghi due metri - e se vuoi sapere anche il resto, ti dirò che la tua principessa sposerà Fedor, mentre Vassilij si prenderà le tue ricchezze.
- ti prego - implorò Ivan - fammi ritornare a casa! Aiutami!
- Avrei voluto tenerti con me - borbottò il gigante - ma non sarebbe stato giusto. Perciò ti accompagnerò a casa, ma, prima di lasciarti andare vorrei che tu rispondessi a questa domanda: qual è la cosa più preziosa che ci sia in terra e in mare?
- Il sale - rispose Ivan.
Allora il gigante si mise il giovane sulle spalle, e lo trasportò fino alla soglia di casa: poi scomparve. Ivan fece per entrare quando udì suo padre che diceva:
- Siete stati molto bravi, figli miei! Ma dove sarà finito Ivan?
- Nella taverna di qualche porto - risero i fratelli.
In quel momento Ivan spalancò la porta. La principessa lo vide e gli corse incontro, buttandogli le braccia al collo. Il padre guardò i figli maggiori e chiese tutto sorpreso:
- Che cosa significa questo?
Ma i figli non diedero spiegazioni: balzarono fuori dall'uscio e corsero fino alle navi, spiegarono le vele e si allontanarono al più presto. Ivan e la bella principessa si sposarono e vissero felici per moltissimi anni.


Hans Christian Andersen

I fiori della piccola Ida


Poveri fiori! Sono tutti appassiti. Eppure ieri erano tanto belli! - esclamò con rammarico la piccola Ida, guardando il suo mazzo dai petali raggrinziti. - Che cosa è success, dunque? - proseguì rivolta allo studente seduto sul divano.
Voleva bene allo studente, perché sapeva raccontare tante storie e ritagliava file di pupazzetti di carta che si tenevano per mano e si potevano far ballare e fabbricava persino castelli con le porte che si aprivano. Ero proprio bravo e il tempo con lui passava in un attimo
- Te lo dico io , che cosa è successo - rispose lo studente.
- Oh, ti prego racconta - disse la bambina.
- I tuoi fiori questa notte sono andati al ballo e per questo ora sono così stanchi e sfiniti.
- Ma i fiori non sanno ballare! - esclamò la piccola Ida.
- E invece si. Quando noi andiamo a letto e ci addormentiamo, i fiori incominciano a far salti e si danno alla pazza gioia.
- E i bambini possono andare al ballo? - chiese la piccola Ida
- Soltanto i bambini dei fiori, cioè i fiorellini piccoli, come le margherite, i mughetti, e i non ti scordar di me.
- E dove vanno a ballare?
- Nel castello del re, quello che sorge fuori la porta e che è circondato da un immenso giardino. Il re vi abita soltanto d'estate, lo sai.
- Ma sono andata ieri con la mamma, in quel giardino - replicò la piccola Ida - non c'era un solo fiore sulle aiuole e nemmeno una foglia sugli alberi. Dov'erano, dunque?
- Nel castello. Quando il re torna in città seguito da tutti i suoi cortigiani, i fiori lasciano il giardino ed entrano nelle sale. Sul trono siedono le due rose più belle, e sono il re e la regina; le creste di gallo si allineano ai due lati e fanno da guardie d'onore, e tutti gli altri fiori sono invitati al ballo. Le violette azzurre rappresentano gli ufficiali di marina; i giacinti sono damigelle, i tulipani le dame incaricate di sorvegliare l'andamento della festa.
- Ma chi ha dato ai fiori il permesso di danzare nel castello del re?
- Oh, non c'è bisogno di permesso, perché quasi nessuno lo sa. E' vero che qualche volta, di notte, arriva il vecchio sorvegliante a fare una ispezione, ma ha un grosso mazzo di chiavi il cui tintinnio si sente a distanza.
- E i fiori quando lo sentono non hanno paura?
- Non appena se ne accorgono si mettono fermi fermi, oppure si nascondono dietro le tende sporgendo solo la testa.
- E il sorvegliante non sente il loro profumo?
- Si, avverte che c'è qualcosa di insolito nell'aria, ma non riesce a capire che cosa sia.
- Come mi piacerebbe vedere danzare i fiori! - esclamò la piccola Ida battendo le mani. - Sarebbe una cosa stupenda!
- Chissà che tu non ci riesca - rispose lo studente. - Quando tornerai nel giardino del re, prova a guardare attentamente attraverso le finestre e vedrai uno strano movimento.
- E i fiori del giardino pubblico vanno anche loro al ballo? Come possono arrivare fino a là? Il castello infatti è molto lontano dalla città.
- Volando - spiegò lo studente - non hai visto le farfalle? Non sembrano fiori? Ebbene, appunto sono la stessa cosa: i fiori hanno lasciato il loro gambo per levarsi nell'aria; poi hanno incominciato ad agitare i petali come piccole ali, e così sono riusciti a volare.
- Ma perché soltanto alcuni fiori si sono mutati in farfalle mentre gli altri sono rimasti semplici fiori? - chiese la bambina. - Deve essere molto difficili sapere quali sono i fiori bravi.
- Non è vero - le spiegò lo studente - i fiori bravi sono quelli che profumano nell'aria e offrono il loro nettare alle api affinché il miele diventi migliore.
- Ma la mia amica è andata la primavera scorsa al giardino pubblico e c'erano tanti fiori. Tu pensi che non siano stati invitati alla festa del castello perché erano cattivi?
- Non credo - disse lo studente - può darsi che nessuno abbia parlato loro del castello del re e della festa dei fiori e quindi non ne sappiano niente. Anzi, voglio proporti un esperimento. Tu sai che in nostro vicino di casa è professore di botanica e ha un giardino tutto pieno di fiori. Prova ad entrare in quel giardino e racconta a un fiore di quella festa da ballo. Il fiore lo dirà a tutti gli altri e così potranno partecipare alla festa e se ne andranno nel castello del re. Pensa come rimarrà di stucco il professore di botanica quando scenderà nel suo giardino per innaffiare e potare i fiori e non ne troverà più neppure uno!
- Ma come un fiore potrà dirlo agli altri? I fiori non sanno parlare - obbiettò la piccola Ida.
- E' vero, ma riescono a comunicare ugualmente fra di loro. Non hai mai visto come si piegano e muovono la testa, quando c'è il vento? E' la loro maniera di parlare. Anche le foglie chiacchierano fra loro, quando si agitano tanto.
- E il professore capisce il loro linguaggio?- chiese Ida.
- Certamente. Anzi, una volta si sdegno moltissimo perché vide una ruvida e ispida ortica cercare di stringere amicizia con uno splendido garofano rosso. " Come sei bello! Come ti voglio bene " diceva l'ortica facendo l'occhiolino. E il garofano ascoltava, tutto lusingato. Il professore allora picchiò l'ortica e si punse le dita. Da quel giorno detesta le ortiche e quando ne vede qualcuna cerca di girare al largo.
- E' divertente - disse la piccola Ida.
Nel frattempo un noioso consigliere era entrato e si era seduto sul divano. E, udendo quei discorsi, fece un gesto di disapprovazione.
- Come si possono mettere idee simili in testa a una bambina? - brontolò.
Il consigliere era un vecchietto dalla faccia gialla e portava sempre un largo cappello nero e rotondo. Non provava simpatia per lo studente e continuò a brontolare. Ripeteva fra i denti:
- Come si possono mettere idee simili nella testa di una bambina? Sono solo inutili fantasie!
Ma la piccola Ida non provava, invece il minimo dubbio e quando lo studente se ne fu andato, si avvicinò al suo mazzo di fiori. Tutto era spiegato, adesso: i fiori avevano la testa china perché si sentivano stanchi, dopo aver ballato tutta la notte; bisognava dunque metterli a letto e farli riposare. In un angolo del salotto c'era un tavolino destinato ai giocattoli della piccola Ida, col cassetto pieno di cianfrusaglie; sul tavolino c'era il letto della bambola Sofia, in legno rosa con la coperta e il velo azzurro. Sofia dormiva profondamente, ma la piccola Ida la prese in braccio senza riguardi.
- Bisogna alzarsi! - le disse; - per questa notte potrai dormire nel cassetto. I poveri fiori sono ammalati e hanno bisogno di riposare!
La bambola aveva un'espressione molto contrariata e non rispose nemmeno una parola, tanto si sentiva offesa; ma la piccola Ida la depose nel cassetto, poi mise i fiori nel lettino e li coprì bene con la coperta azzurra. Chiuse anche le cortine di seta celeste affinché la luce non desse loro fastidio, quindi si allontanò in punta di piedi. Ma per tutta la sera non fece che pensare a quanto lo studente le aveva raccontato e, prima di andare a dormire, volle fare una visitina anche ai fiori della mamma, stupendi giacinti e tulipani, freschi e belli nei vasi di cristallo.
- So che andrete al ballo, questa notte - bisbigliò la piccola Ida con aria d'intesa; ma i fiori non mossero una foglia, come se non avessero capito.
Poi Ida andò a letto e, prima di addormentarsi, pensò a lungo alla festa da ballo nel castello del re. "I miei fiori saranno andati di certo" pensava. Si risvegliò durante la notte dopo un sogno confuso, in cui aveva veduto i fiori lo studente e anche il consigliere dal largo cappello nero. Tutto era silenzioso nella casa; il lumino da notte spandeva una diafana luce; il babbo e la mamma dormivano profondamente. "Chissà se i miei fiori sono ancora nel lettino di Sofia?" pensò la piccola Ida "Come mi piacerebbe saperlo". Sedette sul letto e tese l'orecchio. Le pareva che dal salotto giungesse un suono di pianoforte, ma così leggero, come non le era mai capitato di udire.
- Sono certo i miei fiori che ballano - concluse - Oh, come mi piacerebbe vederli! Oh, se entrassero qui!.
Ma i fiori non vennero e il suono del pianoforte continuava dolce e leggero. Infine la piccola Ida non poté più resistere: scivolò dal lettino e, piano piano, si avvicinò in punta di piedi verso la porta socchiusa del salotto. Come era meraviglioso ciò che vide! Le lampade erano spente, è vero, ma i raggi della luna entravano dalla finestra e ogni cose sembrava illuminata a giorno. I giacinti e i tulipani della mamma stavano allineati su due file: tutti i vasi erano vuoti. Poi i tulipani si inchinarono davanti ai giacinti e li presero per mano; quindi incominciarono un allegro girotondo interrompendolo spesso con variazioni e figure graziosissime. Al pianoforte era seduto un grosso giglio giallo che la piccola Ida aveva veduto in giardino durante l'estate. Anzi, ricordava che lo studente aveva commentato: "Guarda come quel giglio assomiglia alla signorina Carolina". Tutti si erano burlati d lui, ma la piccola Ida aveva notato che il giglio assomigliava davvero in modo sorprendente a quella signorina. Anche adesso, mentre suonava il pianoforte, aveva proprio il suo modo di fare: chinava il lungo viso giallo un po' da una parte e un po' dall'altra e batteva il tempo con la testa. Nessun fiore si era accorto della piccola Ida. Un grande croco blu saltò sul tavolino dove stavano i giocattoli ed andò ad aprire le cortine del letto dove riposavano i fiori ammalati. I fiori si misero a sedere e dichiararono di sentirsi bene e di voler ballare come tutti gli altri. Scesero subito dal letto, tanto freschi e belli che il flaconcino di profumo fatto come un vecchio ometto fece loro i complimenti. Poi il ballo divenne generale. A un tratto qualche cosa di rumoroso cadde dal tavolo: era il frustino che saltava a terra; anche lui voleva prendere parte alla festa dei fiori. Al suo manico era appoggiata, per caso, una bambolina di cera, che aveva un largo cappello nero e rotondo, molto simile a quello del consigliere. Il frustino saltò in mezzo ai fiori sui tre trampoli rossi e si mise a battere il tacco ballando una marzurka. Non c'era che lui che ne fosse capace: i fiori erano troppo leggeri e non avrebbero mai potuto fare tanto rumore con i tacchi. A un tratto la bambolina di cera che stava aggrappata al manico del frustino, diventò lunga lunga, volse verso gli altri fiori la testa coperta dal grande cappello nero e rotondo, e disse ad alta voce:
- Come si possono mettere idee simili nella testa di una bambina? Sono soltanto scocche e inutili fantasie.
La bambola di cera in quel momento assomigliava davvero al vecchio consigliere; aveva lo stesso colorito giallo e la stessa aria arcigna e brontolona. Allora i fiori, indignati, incominciarono a picchiarla, ed ella subito rimpicciolì e ridiventò la bambolina di prima. Ida non poté trattenersi dal ridere. Il frustino continuava a battere i tacchi saltellando come un matto e il consigliere, cioè la bambolina, che gli stava aggrappata addosso, era costretta a ballare con lui, sbatacchiando in tutte le direzioni il gran cappello nero. Infine gli altri fiori intercedettero per lei, specialmente quelli che avevano dormito nel lettino della bambola e finalmente il frustino si fermò e si ritirò tranquillo in un angolo.In quel momento si sentì qualcuno che chiuso nel cassetto, batteva colpi contro la parete di legno per farsi aprire. L'omino fatto col flaconcino di profumo, riuscì a sdraiarsi sul tavolo e a schiudere il cassetto; dalla fessura sbucò la bambola Sofia che si guardò intorno tutta sorpresa.
- C'è dunque un ballo, qui? - esclamò risentita. - Perché nessuno mi ha invitato? Ci sarei venuta volentieri!
- Vuoi ballare con me? -chiese l'omino del profumo.
- Ma guarda un po' che razza di ballerino!- commentò la bambola con disprezzo: e gli voltò le spalle.
Sperava che un fiore l'invitasse, ma nessuno sembrava accorgersi di lei. Tossì, fece um.!….um!…con la voce,ma inutilmente. Intanto l'omino si era messo a ballare da solo e vi riusciva benissimo. Allora Sofia, decisa a richiamare a tutti i costi l'attenzione generale, si lasciò cadere con gran fracasso dal cassetto sul pavimento. Tutti i fiori accorsero per rialzarla e domandarle se si era fatta male; ma Sofia stava benissimo: voleva soltanto ballare. Allora i fiori che avevano dormito nel suo lettino, la presero per mano e incominciarono a danzare con lei proprio nel mezzo della stanza, dove più chiara cadeva la luce della luna. Tutti gli altri fiori fecero circolo battendo il tempo con le mani. Sofia era tanto felice che offerse ai fiori il suo lettino per sempre, dichiarando che sarebbe stata contentissima di dormire nel cassetto. I fiori risposero:
- Ti ringraziamo tanto, ma noi non possiamo vivere a lungo. Domani saremo morti. Devi dire alla piccola Ida di seppellirci nell'angolo del giardino dove poco tempo fa ha sepolto il suo canarino. In estate resusciteremo e saremo più belli ancora di oggi.
- No, non dovete morire! - esclamò Sofia.
In quel momento la porta del salotto si spalancò e una folla di splendidi fiori entrò danzando. In testa al corteo camminavano due belle rose che portavano due corone d'oro: erano il re e la regina. Dietro di loro veniva una fanfara, formata da papaveri e peonie. Le trombe erano baccelli di piselli e i fiori vi soffiavano con tanta forza da averne il viso tutto rosso: i giacinti azzurri e i bucaneve suonavano a distesa i loro campanellini come se fossero campanelli veri. La musica era deliziosa. Poi tutti i fiori si unirono alla compagnia e zinnie, pratoline margherite e gli altri si abbracciarono e incominciarono a ballare. Era uno spettacolo davvero meraviglioso. Quindi tutti si augurarono la buona notte e la piccola Ida ritornò a letto, dove rimase sveglia a lungo ripensando a tutto ciò che aveva visto. L'indomani, appena alzata, corse al tavolino dei giocattoli per vedere i se i fiori c'erano ancora nel lettino di Sofia. C'erano, ma molto più avvizziti dl giorno prima. Sofia era coricata nel cassetto e sembrava avere molto sonno.
- Ti ricordi ciò che dovevi dirmi - domandò Ida.
Sofia non rispose nemmeno una parola.
- Non sei gentile - disse Ida. - Eppure i fiori hanno ballato con te!
Sofia non rispose nemmeno questa volta, ma la piccola Ida sapeva che cosa doveva fare. Prese una scatola e vi collocò delicatamente i fiori morti.
- Ecco la vostra piccola bara, o meglio, il vostro nuovo lettino - disse - quando verranno i miei cugini oggi, mi aiuteranno a seppellirvi.
I cugini della piccola Ida erano due allegri ragazzi che si chiamavano Giovanni e Adolfo. Giunsero nel pomeriggio indossando una maglietta gialla e calzoncini blu. Volevano mostrare a Ida l'ultimo regalo del babbo, una balestra nuova nuova, che funzionava come quelle degli antichi balestrieri. Ida narrò loro la morte dei fiori e li invitò a partecipare al funerale. I due ragazzi camminavano davanti, la balestra in spalla e la piccola Ida li seguì con i fuori morti nella graziosa bara. Scavarono una fossa in fondo al giardino e Ida, dopo aver baciato i fiori depose la cassettina nella terra, mentre Giovanni e Adolfo tiravano un colpo di balestra in segno di onore.


Hans Christian Andersen

lunedì 6 gennaio 2014

I cigni selvatici


Miei cari ragazzi, - annunciò il re, - entro pochi giorni mi risposerò...
A questa notizia, Lisa e i suoi undici fratelli ebbero lo stesso presentimento: la loro esistenza viziata di principi felici stava per terminare. Quando videro la nuova regina, con l'aria dura e lo sguardo glaciale che rivelava egoismo e cattiveria, i loro timori furono confermati. Lisa fu la sua prima vittima... Il giorno immediatamente successivo alle nozze, la matrigna mandò Lisa presso una famiglia di contadini che la fecero vivere come la gente rude di campagna. Questa cattiva matrigna aveva persuaso il re che il soggiorno sarebbe stato benefico, anche se in realtà la bambina era trattata come una sguattera. In seguito cominciò a denigrare gli undici fratellini: ci mise tanto rancore e accanimento che, rapidamente, il re fece allontanare i suoi figli.
- E ora volate con le vostre ali, - aggiunse la perfida donna, - volate... volate fino in capo al mondo!
A queste parole, i principi si trasformarono in undici magnifici cigni immacolati e presero subito il volo. A quindici anni la principessa ritornò al palazzo, con gran dispiacere della matrigna che credeva di essersene sbarazzata per sempre. Quando vide quella bella adolescente, dolce, intelligente, sentì raddoppiare il suo odio. Invidiosa di tutte le qualità riunite in una sola ragazza, architettò un piano machiavellico per eliminarla definitivamente e attese pazientemente il momento opportuno per eseguirlo... La ragazza apprezzava in modo particolare un lussuoso salone di marmo. Al centro c'era una vasca d'acqua dove le piaceva specchiarsi, seduta su morbidi cuscini di seta e di broccato, sfiorando l'acqua con le dita esili. La megera vide in quell'acqua lo strumento della sua vendetta. Mise nella vasca tre enormi rospi pieni di pustole e ordinò loro:
- Saltale sulla testa, attaccati ai capelli e trasmettile la tua incredibile stupidità... - disse al primo.
- Saltale in faccia, - disse al secondo, - e falla diventare brutta e foruncolosa come te!
- In quanto a te, che sei il terzo, rendila crudele, fai in modo che il suo cuore sia duro come la roccia, che la sua vita sia solo sofferenza!
Quando la principessa arrivò, per approfittare di un po' di calma e di freschezza, i tre rospi vollero attuare il sinistro incarico. Ma il contatto
di una ragazza così pura e innocente ruppe il sortilegio. Le immonde bestiole si trasformarono in tre splendide rose, soavemente profumate... Allora la regina, colma di rabbia, si gettò sulla poveretta, sporcò il suo visino con la fuliggine e ridusse i suoi capelli come una zazzera ruvida come la canapa. In un momento diventò irriconoscibile persino al padre che, credendola una mendicante, la fece scacciare dal castello. Trionfante, la spaventosa strega gioì in segreto per non destare sospetti nel sovrano. Nel frattempo, l'infelice ragazza aveva incominciato il suo triste errare… Lisa camminò tutto il giorno. Quando giunse la sera, in mezzo ad una profonda foresta, si dissetò alla sorgente di un ruscello, si lavò il viso e i capelli prima di addormentarsi, sfinita. Ahimè! Brutti incubi rovinarono il suo sonno: che cosa era accaduto ai suoi fratelli? Al risveglio, incontrò una vecchia che le parlò di undici cigni in un lago vicino. La ragazza vi arrivò troppo tardi, ma coraggiosamente, continuò le ricerche. Arrivata sulle rive dell'oceano, il rumore di ali possenti che fendevano l'aria le resero un po' di speranza. Undici uccelli apparvero all'orizzonte... Le dita palmate dei volatili sfioravano la sabbia. all'improvviso, ripresero l'aspetto umano. L'incontro fu commovente, pieno di gioia e di tristezza. Parlarono lungamente: la principessa raccontò le sue avventure, il più grande dei fratelli fece lo stesso:
- Condannati all'esilio eterno in un magnifico paese che non sostituirà mai la nostra amata patria, dobbiamo, ogni sera, ritornare sulla terra per ridiventare uomini. All'alba, il nostro regno diventa ancora il cielo!
- Perché siete qui, allora? - domandò Lisa.
- Qualche giorno all'anno siamo autorizzati a volare sul palazzo di nostro padre a rivedere il luogo della nostra felice giovinezza. Domani torneremo in esilio. Vieni anche tu con noi?
La ragazza non esitò. Al mattino, Lisa si mise in una solida tela di lino tenuta fermamente dai becchi di tre suoi fratelli e intraprese un lungo viaggio sopra i mari. Gli altri ragazzi, anche loro trasformati in cigni, le fecero da scorta. Al tramonto, arrivati a destinazione, deposero il loro prezioso carico all'entrata di una grotta che era il loro rifugio. Il freddo della sera, la stanchezza e le emozioni del viaggio spossarono Lisa che si addormentò facilmente. Ma una grande preoccupazione tormentava i suoi sogni: come avrebbe potuto aiutare i fratelli a riprendere definitivamente le sembianze umane? In un sogno, apparve una fata. Malgrado la sua giovinezza e la sua bellezza, la principessa riconobbe la vecchia donna che l'aveva guidata nella foresta, quando stava cercando i fratelli.
- Conosco il tuo desiderio, - le disse - e posso esaudirlo, ma ti occorrerà molta volontà e tenacia. Sei pronta a sopportare silenziosamente alcune prove terribili?
- Sì, sono pronta! Niente mi fermerà...
- Dovrai raccogliere molte ortiche, filarle come la lana, tesserle e cucire il tessuto ottenuto per confezionare undici abiti. Quando saranno terminati, li getterai sui cigni e il cattivo sortilegio scomparirà immediatamente. Durante questo lavoro resterai sempre zitta. Un solo suono uscito dalla tua bocca renderà inutile il tuo sacrificio e abbrevierà la vita dei tuoi cari che vuoi salvare. La liberazione dei tuoi fratelli ha questo prezzo...
Al suo risveglio, Lisa si mise attivamente all'opera, colse le piante irritanti che inflissero alle sue mani bruciori lancinanti. Con la bocca chiusa, soffocò singhiozzi di dolore. Come ogni sera, i cigni ritornarono a terra e ripresero il loro aspetto principesco. Interrogarono la sorella sulla causa delle sua mani gonfie e degli occhi pieni di lacrime, ma Lisa non disse nemmeno una parola E continuò con ostinazione il suo lavoro doloroso. Un giorno in cui Lisa stava facendo provviste di ortiche, alcuni cacciatori si fermarono per chiederle la strada. Erano condotti dal sovrano del paese, giovane e seducente, che fu immediatamente conquistato dal suo fascino e dalla sua grazia. Il continuo silenzio della ragazza lo imbarazzò ma, preso dall'improvvisa passione, la mise in groppa al suo cavallo e la portò nel suo palazzo. Vestita di broccato e di seta, adorna di suntuosi gioielli, Lisa fu presentata a corte. Lacrime di sofferenza bagnarono i suoi occhi e tutti crederono fossero lacrime di felicità! Il matrimonio inaspettato, suscitò rancori e gelosie: da dove arrivava questa sconosciuta? Aveva soggiogato il re, era una strega! Per farle ritornare il sorriso e la voce, il giovane re ebbe la delicatezza di riportarla alla grotta dalla quale l'aveva portata via così bruscamente. C'era tutto; i vestiti già cuciti, il necessario per cucire gli altri. Lisa riprese il lavoro con entusiasmo... ma un giorno le ortiche finirono. Allora andò a coglierne al vicino cimitero, ricco di quelle pianticelle. Ahimè, un cortigiano invidioso del suo felice destino la seguì, scoprì il segreto e corse a rivelarlo al giovane marito. Il poveretto, malgrado il suo amore, dovette cedere alle insistenze della sua corte che accusava la sfortunata. Lisa, con il suo silenzio, non poté difendersi dall'accusa di stregoneria e fu gettata in prigione. Per miracolo, vi trovò il suo lavoro e poté terminarlo, all'insaputa delle guardie. Condannata ad essere bruciata viva, la poveretta camminò stoicamente verso il rogo, stringendo disperatamente fra le braccia i preziosi vestiti. Incuriositi dal rumore della folla, gli undici cigni si posarono nel luogo del supplizio e con grande emozione della folla ripresero l'aspetto umano appena Lisa ebbe lanciato i vestiti magici. Liberata dal giuramento, la principessa poté infine raccontare la sua storia e quella dei suoi fratelli. Di buon cuore, Lisa perdonò il suo sposo e, felice, ritornò con lui a palazzo...


di H. C. Andersen   

sabato 4 gennaio 2014

Il principe ranocchio


Nei tempi antichi, quando desiderare serviva ancora a qualcosa, c'era un re, le cui figlie erano tutte belle, ma la più giovane era così bella che perfino il sole, che pure ha visto tante cose, sempre si meravigliava, quando le brillava in volto. Vicino al castello del re c'era un gran bosco tenebroso e nel bosco, sotto un vecchio tiglio, c'era una fontana. Nelle ore più calde del giorno, la principessina andava nel bosco e sedeva sul ciglio della fresca sorgente. E quando si annoiava, prendeva una palla d'oro, la buttava in alto e la ripigliava; e questo era il suo gioco preferito.

Ora avvenne un giorno che la palla d'oro della principessa non ricadde nella manina ch'essa tendeva in alto, ma cadde a terra e rotolò proprio nell'acqua. La principessa la seguì con lo sguardo, ma la palla sparì, e la sorgente era profonda, profonda a perdita d'occhio. Allora la principessa cominciò a piangere, e pianse sempre più forte, e non si poteva proprio consolare. E mentre così piangeva, qualcuno le gridò: "Che hai, principessa? Tu piangi da far pietà ai sassi." Lei si guardò intorno, per vedere donde venisse la voce, e vide un ranocchio, che sporgeva dall'acqua la grossa testa deforme. "Ah, sei tu, vecchio ranocchio!" disse, "piango per la mia palla d'oro, che m'è caduta nella fonte." - "Chétati e non piangere," rispose il ranocchio, "ci penso io; ma che cosa mi darai, se ti ripesco il tuo palla?" - "Quello che vuoi, caro ranocchio," disse la principessa, "i miei vestiti, le mie perle e i miei gioielli, magari la mia corona d'oro." Il ranocchio rispose: "Le tue vesti, le perle e i gioielli e la tua corona d'oro io non li voglio: ma se mi vorrai bene, se potrò essere il tuo amico e compagno di giochi, seder con te alla tua tavolina, mangiare dal tuo piattino d'oro, bere dal tuo bicchierino, dormire nel tuo lettino: se mi prometti questo; mi tufferò e ti riporterò la palla d'oro." - "Ah sì," disse la principessa, "ti prometto tutto quel che vuoi, purché mi riporti la palla." Ma pensava: Cosa va blaterando questo stupido ranocchio, che sta nell'acqua a gracidare coi suoi simili, e non può essere il compagno di una creatura umana!

Ottenuta la promessa, il ranocchio mise la testa sott'acqua, si tuffò e poco dopo tornò remigando alla superficie; aveva in bocca la palla e la buttò sull'erba. La principessa, piena di gioia al vedere il suo bel giocattolo, lo prese e corse via. "Aspetta, aspetta!" gridò il ranocchio, "prendimi con te, io non posso correre come fai tu." Ma a che gli giovò gracidare con quanta fiato aveva in gola! La principessa non l'ascoltò, corse a casa e ben presto aveva dimenticata la povera bestia, che dovette rituffarsi nella sua fonte.

Il giorno dopo, quando si fu seduta a tavola col re e tutta la corte, mentre mangiava dal suo piattino d'oro - plitsch platsch, plitsch platsch - qualcosa salì balzelloni la scala di marmo, e quando fu in cima bussò alla porta e gridò: "Figlia di re, piccina, aprimi!" La principessa corse a vedere chi c'era fuori, ma quando aprì si vide davanti il ranocchio. Allora sbatacchiò precipitosamente la porta, e sedette di nuovo a tavola, piena di paura. Il re si accorse che le batteva forte il cuore, e disse: "Di che cosa hai paura, bimba mia? Davanti alla porta c'è forse un gigante che vuol rapirti?" - "Ah no," disse lei, "non è un gigante, ma un brutto ranocchio." - "Che cosa vuole da te?" - "Ah, babbo mio, ieri, mentre giocavo nel bosco vicino alla fonte, la mia palla d'oro cadde nell'acqua. E perché piangevo tanto, il ranocchio me l'ha ripescata. E perché ad ogni costo lo volle, gli promisi che sarebbe diventato il mio compagno; ma non avrei mai pensato che potesse uscire da quell'acqua. Adesso è fuori e vuol venire da me." Intanto si udì bussare per la seconda volta e gridare:
"Figlia di re, piccina,
aprimi!
Non sai più quel che ieri
m'hai detto vicino
alla fresca fonte?
Figlia di re, piccina,
aprimi!"
Allora il re disse: "Quel che hai promesso, devi mantenerlo; va' dunque, e apri." Lei andò e aprì la porta; il ranocchio entrò e, sempre dietro a lei, saltellò fino alla sua sedia. Lì si fermò e gridò: "Solleva mi fino a te." La principessa esitò, ma il re le ordinò di farlo. Appena fu sulla sedia, il ranocchio volle salire sul tavolo e quando fu sul tavolo disse: "Adesso avvicinami il tuo piattino d'oro, perché mangiamo insieme." La principessa obbedì, ma si vedeva benissimo che lo faceva controvoglia. Il ranocchio mangiò con appetito, ma a lei quasi ogni boccone rimaneva in gola. Infine egli disse: "Ho mangiato a sazietà e sono stanco. Adesso portami nella tua cameretta e metti in ordine il tuo lettino di seta: andremo a dormire." La principessa si mise a piangere; aveva paura del freddo ranocchio, che non osava toccare e che ora doveva dormire nel suo bel lettino pulito. Ma il re andò in collera e disse: "Non devi disprezzare chi ti ha aiutato nel momento del bisogno." Allora lei prese la bestia con due dita, la portò di sopra e la mise in un angolo. Ma quando fu a letto, il ranocchio venne saltelloni e disse: "Sono stanco, voglio dormir bene come te: tirami su, o lo dico a tuo padre." Allora la principessa andò in collera, lo prese e lo gettò con tutte le sue forze contro la parete: "Adesso starai zitto, brutto ranocchio!"

Ma quando cadde a terra, non era più un ranocchio: era un principe dai begli occhi ridenti. Per volere del padre, egli era il suo caro compagno e sposo. Le raccontò che era stato stregato da una cattiva maga e nessuno, all'infuori di lei, avrebbe potuto liberarlo. Il giorno dopo sarebbero andati insieme nel suo regno. Poi si addormentarono. La mattina dopo, quando il sole li svegliò, arrivò una carrozza con otto cavalli bianchi, che avevano pennacchi bianchi sul capo e i finimenti d'oro; e dietro c'era il servo del giovane re, il fedele Enrico. Enrico si era così afflitto, quando il suo padrone era stato trasformato in ranocchio, che si era fatto mettere tre cerchi di ferro intorno al cuore, perché non gli scoppiasse dall'angoscia. La carrozza doveva portare il giovane re nel suo regno; il fedele Enrico vi fece entrare i due giovani, salì dietro ed era pieno di gioia per la liberazione.

Quando ebbero fatto un tratto di strada, il principe udì uno schianto, come se dietro a lui qualcosa si fosse rotto. Allora si volse e gridò:
"Enrico, qui va in pezzi la carrozza!"
"No, padrone, non è la carrozza,
Bensì un cerchio del mio cuore,
Ch'era immerso in gran dolore,
Quando dentro alla fontana
Tramutato foste in rana."
Per due volte ancora si udì uno schianto durante il viaggio; e ogni volta il principe pensò che la carrozza andasse in pezzi; e invece erano soltanto i cerchi, che saltavano via dal cuore del fedele Enrico, perché il suo padrone era libero e felice.


* FINE * 
Fratelli Grimm

Tremotino

C'era una volta un mugnaio che era povero, ma aveva una bella figlia. Un giorno gli capitò di parlare con il re e gli disse: "Ho una figliola che sa filare l'oro dalla paglia." Al re, cui piaceva l'oro, la cosa piacque, e ordinò che la figlia del mugnaio fosse condotta innanzi a lui.

La condusse in una stanza piena di paglia, le diede il filatoio e l'aspo e disse: "Se in tutta la notte, fino all'alba, non fai di questa paglia oro filato, dovrai morire." Poi la porta fu chiusa ed ella rimase sola. La povera figlia del mugnaio se ne stava là senza sapere come salvarsi, poiché‚ non aveva la minima idea di come filare l'oro dalla paglia; la sua paura crebbe tanto che finì col mettersi a piangere. D'un tratto la porta si aprì ed entrò un omino che disse: "Buona sera, madamigella mugnaia, perché‚ piangi tanto?"

"Ah," rispose la fanciulla, "devo filare l'oro dalla paglia e non sono capace!" Disse l'omino: "Che cosa mi dai, se te la filo io?" - "La mia collana," rispose la fanciulla. L'omino prese la collana, sedette davanti alla rotella e frr, frr, frr tirò il filo tre volte e il fuso era pieno. Poi ne introdusse un altro e frr, frr, frr, tirò il filo tre volte e anche il secondo fuso era pieno; andò avanti così fino al mattino: ed ecco tutta la paglia era filata e tutti i fusi erano pieni d'oro.

Quando il re andò a vedere, si meravigliò e ne fu molto soddisfatto, ma il suo cuore divenne ancora più avido. Così fece condurre la figlia del mugnaio in una stanza molto più grande, piena di paglia, che anche questa volta doveva essere filata in una notte, se aveva cara la vita. La fanciulla non sapeva a che santo votarsi e piangeva; ma all'improvviso si aprì la porta e l'omino entrò dicendo: "Cosa mi dai se ti filo l'oro dalla paglia?"

"L'anello che ho al dito," rispose la fanciulla. L'omino prese l'anello, la ruota cominciò a ronzare e al mattino tutta la paglia si era mutata in oro splendente. A quella vista il re andò in visibilio ma, non ancora sazio, fece condurre la figlia del mugnaio in una terza stanza ancora più grande delle precedenti, piena di paglia, e disse: "Dovrai filare anche questa paglia entro stanotte; se ci riesci sarai la mia sposa." Infatti egli pensava che da nessun'altra parte avrebbe trovato una donna tanto ricca. Quando la fanciulla fu sola, ritornò per la terza volta l'omino e disse: "Che cosa mi dai se ti filo la paglia anche questa volta?" - "Non ho più nulla," rispose la fanciulla. "Allora promettimi," disse l'omino, "quando sarai regina, di darmi il tuo primo bambino." - "Chissà come andrà a finire!" pensò la figlia del mugnaio e, del resto, messa alle strette, non sapeva che altro fare, perciò accordò la sua promessa all'omino che, anche questa volta, le filò l'oro dalla paglia. Quando al mattino venne il re e trovò che tutto era stato fatto secondo i suoi desideri, la sposò; e la bella mugnaia divenne regina.

Dopo un anno diede alla luce un bel maschietto e non si ricordava neanche più dell'omino, quando questi le entrò d'un tratto nella stanza a reclamare ciò che gli era stato promesso. La regina inorridì e gli offrì tutte le ricchezze del regno, purché‚ le lasciasse il bambino; ma l'omino disse: "No, qualcosa di vivo mi è più caro di tutti i tesori del mondo." Allora la regina incominciò a piangere e a lamentarsi, tanto che l'omino s'impietosì e disse: "Ti lascio tre giorni di tempo: se riesci a scoprire come mi chiamo, potrai tenerti il bambino."

La regina passò la notte cercando di ricordare tutti i nomi che mai avesse udito, inviò un messo nelle sue terre a domandare in lungo e in largo, quali altri nomi si potevano trovare. Il giorno seguente, quando venne l'omino, ella cominciò con Gaspare, Melchiorre e Baldassarre e disse tutta una lunga sfilza di nomi, ma ogni volta l'omino diceva: "Non mi chiamo così." Il secondo giorno, ella mandò a chiedere come si chiamasse la gente nei dintorni e propose all'omino i nomi più insoliti e strani quali: Latte di gallina, Coscia di montone, Osso di balena. Ma egli rispondeva sempre: "Non mi chiamo così."

Il terzo giorno tornò il messo e raccontò: "Nuovi nomi non sono riuscito a trovarne, ma ai piedi di un gran monte, alla svolta del bosco, dove la volpe e la lepre si dicono buona notte, vidi una casetta; e davanti alla casetta ardeva un fuoco intorno al quale ballava un omino quanto mai buffo, che gridava, saltellando su di una sola gamba:

"Oggi fo il pane,
la birra domani, e il meglio per me
è aver posdomani il figlio del re.
Nessun lo sa, e questo è il sopraffino,
Ch'io porto il nome di Tremotino!"

All'udire queste parole, la regina si rallegrò e poco dopo quando l'omino entrò e le disse: "Allora, regina, come mi chiamo?" ella da principio domandò: "Ti chiami Corrado?" - "No." - "Ti chiami Enrico?" - "No." - "Ti chiami forse Tremotino?"

"Te l'ha detto il diavolo, te l'ha detto il diavolo!" gridò l'omino; e per la rabbia pestò in terra il piede destro con tanta forza, che sprofondò fino alla cintola; poi, nell'ira, afferrò con le mani il piede sinistro e si squarciò.

                                                               FINE
I Fratelli Grimm