giovedì 28 febbraio 2013

Imitazione


Lungi dal proprio ramo,
Povera foglia frale,
Dove vai tu? Dal faggio
Là dov'io nacqui, mi divise il vento.
Esso, tornando, a volo
Dal bosco alla campagna,
Dalla valle mi porta alla montagna.
Seco perpetuamente
Vo pellegrina, e tutto l'altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa,
Dove naturalmente
Va la foglia di rosa,
E la foglia d'alloro.


Giacomo Leopardi 

La sera del dì di festa


Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m'affaccio,
E l'antica natura onnipossente,
Che mi fece all'affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da' trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch'io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell'artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
Di que' popoli antichi? or dov'è il grido
De' nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s'udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.


Giacomo Leopardi 

mercoledì 27 febbraio 2013

Scherzo


Quando fanciullo io venni
A pormi con le Muse in disciplina
L'una di quelle mi pigliò per mano;
E poi tutto quel giorno
La mi condusse intorno
A veder l'officina.
Mostrommi a parte a parte
Gli strumenti dell'arte,
E i servigi diversi
A che ciascun di loro
S'adopra nel lavoro
Delle prose e de' versi.
Io mirava, e chiedea:
Musa, la lima ov'è? Disse la Dea:
La lima è consumata; or facciam senza.
Ed io, ma di rifarla
Non vi cal, soggiungea, quand'ella è stanca?
Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca.


Giacomo Leopardi

La Quiete Dopo La Tempesta


Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core
Sì dolce, sì gradita
Quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
L'uomo a' suoi studi intende?
O torna all'opre? o cosa nova imprende?
Quando de' mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
È diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D'alcun dolor: beata
Se te d'ogni dolor morte risana.


Giacomo Leopardi

martedì 26 febbraio 2013

Luna


O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l'anno, sovra questo colle
Io venia pien d'angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l'etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l'affanno duri!


Giacomo Leopardi 

Infinito



Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.


Giacomo Leopardi

lunedì 25 febbraio 2013

Congedo


Anche te, cara, che non salutai
di qui saluto, ultima. Coraggio!
Viaggio per fuggire altro viaggio.
In alto, in alto i cuori. E tu ben sai.
In alto, in alto i cuori. I marinai
cantano leni, ride l'equipaggio;
l'aroma dell'Atlantico selvaggio
mi guarirà, mi guarirà, vedrai.
Di qui, fra cielo e mare, o Benedetta,
io ti chiedo perdono nel tuo nome
se non cercai parole alla tua pena,
se il collo liberai da quella stretta
spezzando il cerchio della braccia, come
si spezza a viva forza una catena.

Guido Gozzano 

Speranza


Il gigantesco rovere abbattuto
l'intero inverno giacque sulla zolla,
mostrando, in cerchi, nelle sue midolla
i centonovant'anni che ha vissuto.
Ma poi che Primavera ogni corolla
dischiuse con le mani di velluto,
dai monchi nodi qua e là rampolla
e sogna ancora d'essere fronzuto.
Rampolla e sogna - immemore di scuri -
l'eterna volta cerula e serena
e gli ospiti canori e i frutti e l'ire
aquilonari e i secoli futuri...
Non so perché mi faccia tanta pena
quel moribondo che non vuol morire!


Guido Gozzano

sabato 23 febbraio 2013

Canto Alle Rondini


Questa verde serata ancora nuova 
e la luna che sfiora calma il giorno 
oltre la luce aperto con le rondini 
daranno pace e fiume alla campagna 
ed agli esuli morti un altro amore; 
ci rimpiange monotono quel grido 
brullo che spinge già l'inverno, è solo 
l' uomo che porta la città lontano. 

e nei treni che spuntano, e nell' ora 
fonda che annotta, sperano le donne 
ai freddi affissi d' un teatro, cuore 
logoro nome che patimmo un giorno.


Alfonso Gatto 

Via Appia


Eterna sera agli alberi fuggiti 
nel silenzio: la strada fredda accora 
i morti in terra verde: di svaniti 
suoni nell'aria armoniosa odora 
vento dorato il mare dei cipressi. 
Calma specchiata di monti la sera 
immagina giardini nei recessi 
tristi dell'acqua: erbosa primavera 
stringe la terra in uno scoglio vivo. 
Cade nel sonno docile la pena 
dei monti addormentati sulla riva: 
sopra la pace luminosa arena. 
Nella memoria li depone il bianco 
vento del mare: ad alba solitaria 
passano in sogno a non toccarsi: banco 
del mattino la ghiaia fredda d' aria.


Alfonso Gatto 

venerdì 22 febbraio 2013

Amore Notturno


Una notte vicino alla sua casa
e dal balcone aperto nella mite
notte del Sud, la donna che m'apparve
golosa di risucchio come un'acqua
gelata. E non avrà mai volto,
sale la gola chiara, scende al buio
degli occhi avidamente salda.
A bocca aperta nella pioggia, un nero 
grappolo le lasciava goccia a goccia 
sapore di città disse di vento.


Alfonso Gatto 

Estate in Montagna


Da tutte queste bellezze
spremerò qualche goccia
color del ribes
color rubino

un distillato
prezioso più dell'argento
più dell'oro fino

una bevanda trasparente
da offrire senza prezzo
al viandante smarrito
che bussi a questa malga.


Da Luce in Nuce - Gianni Gasparini  1993

giovedì 21 febbraio 2013

Sala Parto


era l'ultimo mese
ad un tratto s'accorse
della pancia del seno

per quanto incredibile
tutto questo è vivo e vero

sarà l'ultima attesa
si dissero l'un l'altro
dentro un brulichio 
d'implosi spasimi

senza dubbio una nascita strana
fuori tempo
era quello del resto
il suo segno
..........
dalla sala parto un vagito
umano suono si fece
luminosa traccia

Da Luce in Nuce - Gianni Gasparini  1993

Resistenza


Si resistete così
au jour le jour
ora per ora
grati per il sole
per due o tre volti
luminosi
e per il vento fresco
che biseca le cime dei cipressi
avvolgendo vaporosamente
la forsythia matura.

Da Luce in Nuce - Gianni Gasparini  1993

mercoledì 20 febbraio 2013

Antonius Block


I
Sorridi e scollina
sprona oltre il crinale 
stretto che divide
costa da costa
nel meridiano gioco
di ombre e luci

non indugiare sul vino
e sul lauro ricevuto
da tremule mani
non intristire per l'altro
dono mancato

tu cavaliere di tutte le età
inesausto cercatore di terre
oltremontane
abbi non riposo
ma quiete.


Gianni Gasparini  1993

Padania



C'è ansia di perfezione
nelle algide dita dei meli
intrecciate di brina

nel sole astro lontano
trionfante di brume

nel treno che corre sul piano
e divide a destra e a sinistra
due bianchi
emisferi di campi

Gianni Gasparini  1993

martedì 19 febbraio 2013

Io Non Invidio



Io non invidio ai vati 
Le lodi e i sacri allori, 
Nè curo i pregi e gli ori 
D'un duce o d'un sovran. 
Saran miei dì beati 
Se avrò il mio crine cinto 
Di serto vario-pinto 
Tessuto di tua man. 
Saran miei dì beati 
Se in mezzo a bosco ombroso 
Il volto tuo vezzoso 
Godrommi a contemplar. 
Che bel vederci allora 
Mille cambiar sembianti, 
E direi: O cori amanti, 
Cessate il palpitar.


Ugo Foscolo 

A Firenze


E tu ne' carmi avrai perenne vita 
Sponda che Arno saluta in suo cammino 
Partendo la città che del latino 
Nome accogliea finor l'ombra fuggita. 
Già dal tuo ponte all'onda impaurita 
Il papale furore e il ghibellino 
Mescean gran sangue, ove oggi al pellegrino 
Del fero vate la magion s'addita. 
Per me cara, felice, inclita riva 
Ove sovente i piè leggiadri mosse 
Colei che vera al portarnento Diva 
In me volgeva sue luci beate, 
Mentr'io sentia dai crini d'oro commosse 
Spirar ambrosia l'aure innamorate. 


Ugo Foscolo 

domenica 17 febbraio 2013

Sera


Forse perché della fatal quiete
Tu sei l'immago a me sì cara vieni 
0 sera! E quando ti corteggian liete 
Le nubi estive e i zeffiri sereni, 
E quando dal nevoso aere inquiete 
Tenebre e lunghe all'universo meni 
Sempre scendi invocata, e le secrete 
Vie del mio cor soavemente tieni. 
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme 
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge 
Questo reo tempo, e van con lui le torme 
Delle cure onde meco egli si strugge; 
E mentre lo guardo la tua pace, dorme 
Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

Ugo Foscolo

L'Ultimo Addio



T'amai, dunque, t'amai, e t'amo ancor 
di un amore che non si può concepire
che da me solo. E' poco prezzo,
o mio angelo, la morte per chi 
ha potuto udir che tu l'ami,
e sentirsi scorrere in tutta
l'anima la voluttà del tuo bacio,
e pianger teco - io sto col piè 
nella fossa; eppure tu anche 
in questo frangente ritorni, 
come solevi, davanti a questi occhi
che morendo si fissano in te, 
in te che sacra risplendi 
di tutta la tua bellezza... 
Io muoio... pieno di te,
e certo del tuo pianto...

Ugo Foscolo 

venerdì 15 febbraio 2013

La Sabbia Del Tempo




Come scorrea la calda sabbia lieve
per entro il cavo della mano in ozio
in cor sentì che il giorno era più breve.
E un’ansia repentina il cor m’assale
per l’appressar dell’umido equinozio
che offusca l’oro delle piagge salse.
Alla sabbia del Tempo urna la mano
era, clessidra il cor mio palpitante,
l’ombra crescente di ogni stelo vano
quasi ombra d’ago in tacito quadrante


Gabriele D'Annunzio 

Il Sul Vespero


In sul vespero, scendo alla radura.
Prendo col laccio la puledra brada
che ancor tra i denti ha schiuma di pastura.
Tanaglio il dorso nudo, alle difese;
e per le ascelle afferro la naiàda,
la sollevo, la pianto sul garrese.
Schizzan di sotto all'ugne nel galoppo
gli aghi i rami le pigne le cortecce.
Di là dai fossi, ecco il triforme groppo
su per le vampe delle fulve secce.


Gabriele D'Annunzio