domenica 30 agosto 2015
Sogno d'estate
Buonasera, buona domenica, benvenuti e bentrovati carissimi lettori di Poesiandu!
Come avete trascorso questa ultima domenica di Agosto?
Alcuni mi hanno scritto, dicendomi che purtroppo hanno terminato ormai le vacanze estive ormai da un paio di giorni, altri invece, i quali hanno lavorato durante tutto Agosto, si prenderanno dei giorni meritati di relax, magari in famiglia, con amici o semplicemente facendo una vacanza soli con se stessi, bhè si, mi è capitato anche di leggere alcune vostre email, dove mi raccontavate delle avventure "solitarie" soli con voi stessi, perchè no può essere anche un ottima opzione per rilassarsi e divertirsi.
Questa poesia la voglio dedicare a tutti voi, che avete trascorso e che magari dovete ancora trascorrere i vostri meritati giorni di relax, ma in particolar modo, la voglio dedicare a tutti coloro che invece, per motivi di lavoro o altri motivi personali, purtroppo quest'anno non sono potuti partire per le vacanze ma che invece sono restati in città per continuare il proprio lavoro, a voi il mio pensiero più grande.
Buona lettura!
Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su 'l Tirreno.
Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.
Non più libri: la stanza da 'l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioría.
Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
pur divenendo rio: su 'l rio passeggiava mia madre
florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro.
Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo de l'amore materno, percosso nel core
da quella festa immensa che l'alma natura intonava.
Però che le campane sonavano su da 'l castello
annunziando Cristo tornante dimane a' suoi cieli;
e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rami, per l'acque,
correa la melodia spiritale di primavera;
ed i peschi ed i meli tutti eran fior' bianchi e vermigli,
e fior' gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati,
e molli d'auree ginestre si paravano i colli,
e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva giú dal mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
La giovine madre guardava beata nel sole.
Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello,
questo che or giace lungi su 'l poggio d'Arno fiorito,
quella che dorme presso ne l'erma solenne Certosa;
pensoso e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure
o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove tra note forme rivivono gli anni felici.
Passar le care imagini, disparvero lievi co 'l sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice china al telaio seguía cheta l'opra de l'ago.
di Giosuè Carducci
sabato 29 agosto 2015
Virgilio
Buon pomeriggio, buon sabato benvenuti e bentrovati.
Come, quando su' campi arsi la pia
Luna imminente il gelo estivo infonde,
Mormora al bianco lume il rio tra via
Riscintillando tra le brevi sponde;
E il secreto usignuolo entro le fronde
Empie il vasto seren di melodia,
Ascolta il viatore ed a le bionde
Chiome che amò ripensa, e il tempo oblia;
Ed orba madre, che doleasi in vano,
Da un avel gli occhi al ciel lucente gira
E in quel diffuso albor l'animo queta;
Ridono in tanto i monti e il mar lontano,
Tra i grandi arbor la fresca aura sospira:
Tale il tuo verso a me, divin poeta.
di Giosuè Carducci
domenica 23 agosto 2015
Primavera classica
Buonasera, benvenuti e bentrovati carissimi lettori.
A volte si pensa che le stagione siano uno stato d'umore, pensiamo all'Estate, sole, mare, belle giornata, inverno, freddo, pioggia, neve, ebbene, ha colto proprio nel segno il grande Carducci con questa poesia molto interessate la quale vi invito a leggere e a capire.
Buona lettura!
Da i verdi umidi margini
La violetta odora,
Il mandorlo s'infiora,
Trillan gli augelli a vol.
Fresco ed azzurro l'aere
Sorride in tutti i seni:
Io chiedo a' tuoi sereni
Occhi un piú caro sol.
Che importa a me de gli aliti
Di mammola non tócca?
Ne la tua dolce bocca
Freme un piú vivo fior.
Che importa a me del garrulo
Di fronde e augei concento?
Oh che divino accento
Ha su' tuoi labbri amor!
Auliscan pur le rosee
Chiome de gli arboscelli:
L'onda de' tuoi capelli,
Cara, disciogli tu.
M'asconda ella gl'inanimi
Fiori del giovin anno:
Essi ritorneranno.
Tu non ritorni piú.
di Giosuè Carducci
Grazie mille per la vostra attenzione, non mi resta che augurarvi buon proseguimento di serata!
mercoledì 19 agosto 2015
Il Bove
Buonasera, benvenuti e bentrovati.
Dopo quale giorno di vacanza anche per noi, si ricomincia alla grande questo fine Agosto, la poesia che andremo a leggere oggi, la voglio dedicare a tutti quelli, veramente tantissimi, che me l'hanno richiesta.
Voi invece? Siete andati in ferie, vacanze, mare, città, montagna?
Se preferite raccontare la vostra estate, basta scrivere alla nostra email, saremo lieti di leggere e condividere i vostri pensieri.
Buona lettura!
T'amo pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m'infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,
O che al giogo inchinandoti contento
L'agil opra de l'uom grave secondi:
Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento
Giro de' pazienti occhi rispondi.
E del grave occhio glauco entro l'austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.
di Giosuè Carducci
giovedì 6 agosto 2015
Il comune rustico
Buonasera, benvenuti e bentrovati gentili lettori di Poesiandu!
O che tra faggi e abeti erma su i campi
Smeraldini la fredda ombra si stampi
Al sole del mattin puro e leggero,
O che foscheggi immobile nel giorno
Morente su le sparse ville intorno
A la chiesa che prega o al cimitero
Che tace, o noci de la Carnia, addio!
Erra tra i vostri rami il pensier mio
Sognando l'ombre d'un tempo che fu.
Non paure di morti ed in congreghe
Diavoli goffi con bizzarre streghe,
Ma del comun la rustica virtù
Accampata a l'opaca ampia frescura
Veggo ne la stagion de la pastura
Dopo la messa il giorno de la festa.
Il consol dice, e poste ha pria le mani
Sopra i santi segnacoli cristiani:
"Ecco, io parto fra voi quella foresta
D'abeti e pini ove al confin nereggia.
E voi trarrete la mugghiante greggia
E la belante a quelle cime là.
E voi, se l'unno o se lo slavo invade,
Eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade,
Morrete per la nostra libertà".
Un fremito d'orgoglio empieva i petti,
Ergea le bionde teste; e de gli eletti
In su le fronti il sol grande feriva.
Ma le donne piangenti sotto i veli
Invocavan la madre alma de' cieli.
Con la man tesa il console seguiva:
"Questo, al nome di Cristo e di Maria,
Ordino e voglio che nel popol sia".
A man levata il popol dicea, "Sì".
E le rosse giovenche di su 'l prato
Vedean passare il piccolo senato,
Brillando su gli abeti il mezzodì.
di Giosuè Carducci
Grazie mille sempre per la vostra attenzione, vi auguro buon proseguimento di serata insieme a noi!
sabato 1 agosto 2015
Agli amici della Valle Tiberina
Buon pomeriggio, buon sabato, benvenuti e bentrovati cari appassionati di letteratura!
Ogni giorno riceviamo veramente tantissime email, una in particolare mi ha colpito, quella di Francesco, che purtroppo adesso si trova in ospedale per piccoli problemi fisici, dove mi scriveva che questa poesia gli dava la forza e l'energia ogni volta che la legge.
Ti siamo molto vicini carissimo Francesco, riprenditi presto, vogliamo rivederti a breve qui insieme a noi, intanto, questa poesia magnifica è tutta per te, buona lettura, ti vogliamo bene!
Pur da queste serene erme pendici
D'altra vita al rumor ritornerò;
Ma nel memore petto, o nuovi amici,
Un desio dolce e mesto io porterò.
Tua verde valle ed il bel colle aprico
Sempre, o Bulcian, mi pungerà d'amor;
Bulciano, albergo di baroni antico,
Or di libere menti e d'alti cor.
E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi
Discendendo da i balzi d'Apennin,
Come gigante che svegliato tardi
S'affretta in caccia e interroga il mattin,
Tu ancor m'arridi. E, quando a i freschi venti
Di su l'aride carte anelerà
L'anima stanca, a voi, poggi fiorenti,
Balze austere e felici, a voi verrà.
Fiume famoso il breve piano inonda;
Ama la vite i colli; e, a rimirar
Dolce, fra verdi querce ecco la bionda
Spiga in alto a l'alpestre aura ondeggiar.
De i vecchi prepotenti in su gli spaldi
Pasce la vacca e mira lenta al pian;
E de le torri, ostello di ribaldi,
Crebbe l'utile casa al pio villan.
Dove il bronzo de' frati in su la sera
Solo rompeva, od accrescea, l'orror,
Croscia il mulino, suona la gualchiera
E la canzone del vendemmiator.
Coraggio, amici. Se di vive fonti
Corse, tocco dal santo, il balzo alpin,
A voi saggi ed industri i patrii monti
Iscaturiscan di fumoso vin:
Del vin ch'edùca il forte suolo amico
Di ferro e zolfo con natia virtù:
Col quale io libo al padre Tebro antico,
Al Tebro tolto al fin di servitù.
Fiume d'Italia, a le tue sacre rive
Peregrin mossi con devoto amor
Il tuo nume adorando, e de le dive
Memorie l'ombra mi tremava in cor.
E pensai quanto i tuoi clivi Tarconte
Coronato pontefice salì,
E, fermo l'occhio nero a l'orizzonte,
Di leggi e d'armi il popol suo partì;
E quando la fatal prora d'Enea
Per tanto mar la foce tua cercò,
E l'aureo scudo de la madre dea
In su l'attonit'onde al sol raggiò;
E quando Furio e l'arator d'Arpino,
Imperador plebeo, tornava a te,
E coprivan l'altar capitolino
Spoglie di galli e di tedeschi re.
Fiume d'Italia, e tu l'origin traggi
Da questa Etruria ond'è ogni nostro onor;
Ma, dove nasci tra gli ombrosi faggi,
L'agnel ti salta e tùrbati il pastor.
Meglio così, che tra marmoree sponde
Patir l'oltraggio de' chercuti re,
E con l'orgoglio de le tumid'onde
L'orme lambire d'un crociato piè.
Volgon, fiume d'Italia, omai tropp'anni
Che la vergogna dura: or via, non più.
Ecco, un grido io ti do "Morte a' tiranni";
Portalo, o fiume, a Ponte Milvio, tu.
Portal con suono ch'ogni suon confonda,
Portal con le procelle d'Apennin,
Portalo, o fiume; e un'eco ti risponda
Dal gran monte plebeo, da l'Aventin.
Tende l'orecchio Italia e il cenno aspetta:
Allor chi fia che la vorrà infrenar?
Cento schiere di prodi a la vendetta
Da le tue valli verran teco al mar.
Risplendi, o fausto giorno. Ahi, se più tardi,
Romito e taumaturgo esser vorrò:
Da la faccia de' rei figli codardi
Ne le tombe de' padri io fuggirò.
Con l'arti vo' che cielo o Inferno insegna
Da questi monti il foco isprigionar,
E fiamme in vece d'acqua a Roma indegna,
Al Campidoglio vile io vo' mandar.
di Giosuè Carducci
Grazie mille per la cortese attenzione, vi auguriamo buon fine settimana e ancora una volta, una buona e pronta guarigione per il nostro amico Francesco!
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