lunedì 26 ottobre 2015

Preludio


Buongiorno, benvenuti e bentrovati cari appassionati di letteratura.

Oggi voglio farvi leggere una poesia molto interessante, inviata dalla nostra amica Loredana, dove nella sua email, mi ha spiegato un po il significato molto importante di questa poesia, vi auguro un buon inizio di settimana e buona giornata!

Buona lettura.

Odio l'usata poesia: concede 
comoda al vulgo i flosci fianchi e senza 
palpiti sotto i consueti amplessi 
stendesi e dorme. 

A me la strofe vigile, balzante 
co 'l plauso e 'l piede ritmico ne' cori: 
per l'ala a volo io còlgola, si volge 
ella e repugna. 

Tal fra le strette d'amator silvano 
torcesi un'evia su 'l nevoso Edone: 
piú belli i vezzi del fiorente petto 
saltan compressi, 

e baci e strilli su l'accesa bocca 
mesconsi: ride la marmorea fronte 
al sole, effuse in lunga onda le chiome 
fremono a' venti.


di Giosuè Carducci 

Vi ringrazio sempre della vostra cortese attenzione, spero che la poesia sia stata di vostro interesse, vi auguro buon proseguimento di navigazione insieme a noi!

lunedì 19 ottobre 2015

Roma


Buonasera, benvenuti e bentrovati carissimi appassionati di letteratura!

L'inizio di settimana è sempre un po traumatico per tutti noi, specialmente per me!
Impegni, lavoro e molte cose da fare, fanno sì che il Lunedì, quindi l'inizio di settimana, sia veramente difficile.
Ma per fortuna siamo giunti a sera e abbiamo superato, più o meno stanchi questa giornata.
Voglio farvi leggere questa sera, una bellissima poesia che ci ha inviato la nostra amica Alice che ci scrive da Livigno, ah quanti ricordi a Livigno cara Alice! Non vedo l'ora di ritornarci il più presto, una cittadina che ti mette veramente tantissima serenità e tranquillità sia in corpo che nella mente.
A me questa poesia mi ha molto colpita, si vede la passione e l'amore per l'Italia e sopratutto per la nostra capitale.

Buona lettura!

Roma, ne l'aer tuo lancio l'anima altera volante: 
accogli, o Roma, e avvolgi l'anima mia di luce. 

Non curïoso a te de le cose piccole io vengo: 
chi le farfalle cerca sotto l'arco di Tito? 

Che importa a me se l'irto spettral vinattier di Stradella 
mesce in Montecitorio celie allobroghe e ambagi? 

e se il lungi operoso tessitor di Biella s'impiglia, 
ragno attirante in vano, dentro le reti sue? 

Cingimi, o Roma, d'azzurro, di sole m'illumina, o Roma: 
raggia divino il sole pe' larghi azzurri tuoi. 

Ei benedice al fosco Vaticano, al bel Quirinale, 
al vecchio Capitolio santo fra le ruine; 

e tu da i sette colli protendi, o Roma, le braccia 
a l'amor che diffuso splende per l'aure chete. 

Oh talamo grande, solitudini de la Campagna! 
e tu Soratte grigio, testimone in eterno! 

Monti d'Alba, cantate sorridenti l'epitalamio; 
Tuscolo verde, canta; canta, irrigua Tivoli; 

mentr'io da 'l Gianicolo ammiro l'imagin de l'urbe, 
nave immensa lanciata vèr' l'impero del mondo. 

O nave che attingi con la poppa l'alto infinito, 
varca a' misterïosi liti l'anima mia. 

Ne' crepuscoli a sera di gemmeo candore fulgenti 
tranquillamente lunghi su la Flaminia via, 

l'ora suprema calando con tacita ala mi sfiori 
la fronte, e ignoto io passi ne la serena pace; 

passi a i concilii de l'ombre, rivegga li spiriti magni 
de i padri conversanti lungh'esso il fiume sacro.


di Giosuè Carducci 

Con l'augurio di trascorrere una buona serata, vi ringrazio sempre per essere qui insieme a noi, grazie mille e buon proseguimento di serata e buona notte!

sabato 17 ottobre 2015

Pianto antico


Buonasera, benvenuti e bentrovati carissimi lettori!

L'albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da' bei vermigli fior

Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l'inutil vita
Estremo unico fior,

Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol piú ti rallegra
Né ti risveglia amor.


di Giosuè Carducci

Con un ringraziamento affettuoso, vi auguro buon proseguimento di serata insieme a noi e buona notte per chi và a dormire, dopo una giornata piena d'impegni.

domenica 11 ottobre 2015

La sacra di Enrico V


Buonasera, benvenuti e bentrovati cari lettori ed appassionati di letteratura.
Week-end purtroppo terminato!
Molti di voi ci hanno scritto veramente tantissime poesie in questo fine settimana, una in particolare mi ha colpito, inviata dal nostro amico Antonio, ci ha chiesto di inserirla nel nostro blog, eccoti accontentato caro Antonio,
Fateci sapere le vostre impressioni e pareri.

Buona lettura!

Quando cadono le foglie, quando emigrano gli augelli
E fiorite a' cimiteri son le pietre de gli avelli,
Monta in sella Enrico quinto il delfin da' capei grigi,
E cavalca a grande onore per la sacra di Parigi.

Van con lui tutt'i fedeli, van gli abbati ed i baroni:
Quanta festa di colori, di cimieri e di pennoni!
Monta Enrico un caval bianco, presso ha il bianco suo stendardo
Che coprì morenti in campo San Luigi e il pro' Baiardo.

Viva il re! Ma il ciel di Francia non conosce il sacro segno;
E la seta vergognosa si ristringe intorno al legno.
Più che mai su gli aurei gigli bigio il cielo e freddo appare:
Con la pace de gli scheltri stanno gli alberi a guardare;

E gli augelli, senza canto, senza rombo, tristi e neri,
Guizzan come frecce stanche tra i pennoni ed i cimieri.
Viva il re! Ma i lieti canti ne le trombe e ne le gole
Arrochiscono, ed aggelano su le bocche le parole.

Arrochiscono; ed un rantolo faticoso d'agonia
Par che salga su da' petti de l'allegra compagnia.
Cresce l'ombra de le nubi, si distende su la terra,
Ed un'umida tenebra quel corteggio avvolge e serra.

Dan di sprone i cavalieri, i cavalli springan salti:
Sotto l'ugne percotenti suon non rendono i basalti.
Manca l'aria; e, come attratti i cavalli e le persone
Ne la plumbea d'un sogno infinita regione,

Arrembando ed arrancando per gli spazi sordi e bigi
Marcian con le immote insegne per entrare a San Dionigi.
Viva il re! Giù da i profondi sotterranei de la chiesa
Questa voce di saluto come un brontolo fu intesa:

E da l'ossa che in quei campi la repubblica disperse
Una nube di fumacchi si formava, e fuori emerse
Uno stuolo di fantasmi: donne, pargoli, vegliardi,
Conti, vescovi, marchesi, duchi, monache, bastardi;

Tutti principi del sangue: tronchi, mozzi, cincischiati,
In zendadi a fiordiligi stranamente avvoltolati.
Entro i teschi aguzzi e mondi che parean d'avorio fino
Luccicavano le occhiaie d'un sottil fuoco azzurrino.

Qual brandiva, salutando, un cappel bianco piumato,
Con un gracil moncherino che solo eragli avanzato;
Qual con una tibia sola disegnava un minuetto;
Qual con mezza una mascella digrignava un sorrisetto.


Tutt'a un tratto quel movente di maligni ossami stuolo
Scricchiolando e sgretolando si levò per l'aria a volo;
Ed intorno a l'orifiamma dispiegante i gigli gialli
Sgambettando e cianchettando intessea carole e balli,

Ed intorno a l'orifiamma sventolante i gigli d'oro
Sibilando e bofonchiando intonava questo coro.
"Ben ne venga il delfin grigio nel reame ove a' Borboni
Né pur morte guarentisce fide o pie le sue magioni.

Passerem dal Ponte Nuovo. Venga a scior la sua promessa
Co 'l re grande che Parigi guadagnò per una messa,
E nel marmo anche par senta co' mustacchi intirizziti
Caldo il colpo e freddo il ghiaccio del pugnal de' gesuiti.

Marceremo a Nostra Donna. Mitriati e porporati
Tre arcivescovi i loro sonni per accoglierne han lasciati.
Su l'entrata sta solenne con l'asperges d'oro in pugno
Quel che tinse del suo sangue gli arsi lastrici di giugno.

In disparte ginocchioni veglia a dire le secrete
Quel che spento fu in sacrato per le mani d'un suo prete.
Benedice la corona del figliuol di San Luigi
Quel che giacque sotto il piombo del comune di Parigi.

Tristi cose. Al men tuo padre (son cortesi i giacobini)
Nel palchetto d'un teatro morì al suon de' violini.
Coprì l'onda de l'orchestra la real confessione,
Salí Cristo in sacramento tra le maschere al veglione.

Farem gala a quel teatro noi borbonica tregenda:
Da quel palco (Iddio ti salvi!) move, o re, la tua leggenda".
Così strilla sghignazzando via pe 'l grigio aere la scorta.
Ma cavalca il quinto Enrico dritto e fermo in vèr' la porta.

Su la porta di Parigi co 'l bacile d'oro in mano
A l'omaggio de le chiavi sta parato un castellano.
Ei non guarda, non fa cenno di saluto, non procede:
Un'antica e fatal noia su le grosse membra siede.

Erto il capo e 'l guardo teso, ma l'orgoglio non vi raggia:
Una tenue per il collo striscia rossa gli viaggia.
Non pare ordine o collare che il re doni al suo fedele:
Non è quel di San Luigi, non è quel di San Michele.

Al passar d'Enrico, ei move a test'alta e regalmente;
Fende in mezzo il gran corteggio: ciascun vede e niun lo sente.
È a la staffa già d'Enrico; ma non piega ad atto umìle,


"Ben ne venga mio nipote, l'ultim'uom de la famiglia!
Queste chiavi ch'io ti porgo fur catene a la Bastiglia.
Tali al Tempio io le temprava". Con l'offerta fa l'inchino.
Ed il capo de l'offrente rotolava nel bacino;

Ed il capo di Luigi con l'immobile occhio estinto
Boccheggiante nel bacino riguardava Enrico quinto.


di Giosuè Carducci

Ci auguriamo che la poesia inviata dal nostro amico Antonio sia stata di vostro gradimento, non ci resta che augurarvi buon inizio di settimana e buon proseguimento di serata insieme a Poesiandu!


lunedì 5 ottobre 2015

Eolia

Buongiorno, benvenuti e bentrovati!
Come avete trascorso il vostro fine settimana,cari lettori appassionati di letteratura?
Mi auguro nel migliore dei modi!
Io in questo fine settimana, ho avuto il piacere di rivivere e visitare dei posti veramente affascinanti, nei quali, i più grandi autori hanno presto spunto per le loro poesie e/o testi.
Nei scorsi giorni, una nostra carissima lettrice, ci ha inviato un email, contenente una poesia a mio modo di vedere molto belle ma che ovviamente si deve capire e comprendere.

Vi auguro buona lettura e spazio ai vostri commenti!

Lina, brumaio torbido inclina,
Ne l'aer gelido monta la sera:
E a me ne l'anima fiorisce, o Lina,
La primavera.

In lume roseo, vedi, il nivale
Fedriade vertice sorge e sfavilla,
E di Castalia l'onda vocale
Mormora e brilla.

Delfo a' suoi tripodi chiaro sonanti
Rivoca Apolline co' nuovi soli,
Con i virginei peana e i canti
De' rusignoli.

Da gl'iperborei lidi al pio suolo
Ei riede, a' lauri dal pigro gelo:
Due cigni il traggono candidi a volo:
Sorride il cielo.

Al capo ha l'aurea benda di Giove;
Ma nel crin florido l'aura sospira
E con un tremito d'amor gli move
In man la lira.

D'intorno girano come in leggera
Danza le Cicladi patria del nume,
Da lungi plaudono Cipro e Citera
Con bianche spume.

E un lieve il sèguita pe 'l grande Egeo
Legno, a purpuree vele, canoro:
Armato règgelo per l'onde Alceo
Dal plettro d'oro.

Saffo dal candido petto anelante
A l'aura ambrosia che dal dio vola,
Dal riso morbido, da l'ondeggiante
Crin di viola,

In mezzo assidesi. Lina, quieti
I remi pendono: sali il naviglio.
Io, de gli eolii sacri poeti
Ultimo figlio,

Io meco traggoti per l'aure achive:
Odi le cetere tinnir: montiamo:
Fuggiam le occidue macchiate rive,
Dimentichiamo.


di Giosuè Carducci 

Vi ringrazio sempre per la vostra attenzione ed il vostro affetto che ci trasmettete giorno dopo giorno, spero che la poesia sia stata di vostro gradimento.
Se volete condividere con noi una poesia che per voi ha un significato particolare, sapete che noi siamo sempre a vostra completa disposizione, basta contattarci.
Buon proseguimento di giornata!

giovedì 1 ottobre 2015

L'annuale della fondazione di Roma


Buongiorno, benvenuti e bentrovati, cari appassionati di letteratura!
1 Ottobre, nuovo mese, nuovi impegni e per noi nuove novità.
Ci avviciniamo sempre di più ai mese più freddi dell'anno, ormai le spiagge, le lunghe camminate in montagna con il sole che ci riscaldava, sono solamente ricordi,purtroppo.
In questo nuovo mese, voglio regalarvi una poesia che mi hanno richiesto in tanti, chissà perchè!

Vi auguro un ottimo mese di Ottobre, buona giornata ed un ottima lettura.

Te redimito di fior purpurei
april te vide su 'l colle emergere
da 'l solco di Romolo torva
riguardante su i selvaggi piani:

te dopo tanta forza di secoli
aprile irraggia, sublime, massima,
e il sole e l'Italia saluta
te, Flora di nostra gente, o Roma.

Se al Campidoglio non più la vergine
tacita sale dietro il pontefice
né più per Via Sacra il trionfo
piega i quattro candidi cavalli,

questa del Fòro tua solitudine
ogni rumore vince, ogni gloria;
e tutto che al mondo è civile,
grande, augusto, egli è romano ancora.

Salve, dea Roma! Chi disconòsceti
cerchiato ha il senno di fredda tenebra,
e a lui nel reo cuore germoglia
torpida la selva di barbarie.

Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi
del Fòro, io seguo con dolci lacrime
e adoro i tuoi sparsi vestigi,
patria, diva, santa genitrice.

Son cittadino per te d'Italia,
per te poeta, madre de i popoli,
che desti il tuo spirito al mondo,
che Italia improntasti di tua gloria.

Ecco, a te questa, che tu di libere
genti facesti nome uno, Italia,
ritorna, e s'abbraccia al tuo petto,
affisa ne' tuoi d'aquila occhi.

E tu dal colle fatal pe 'l tacito
Fòro le braccia porgi marmoree,
a la figlia liberatrice
additando le colonne e gli archi:

gli archi che nuovi trionfi aspettano
non più di regi, non più di cesari,
e non di catene attorcenti
braccia umane su gli eburnei carri;

ma il tuo trionfo, popol d'Italia,
su l'età nera, su l'età barbara,
su i mostri onde tu con serena
giustizia farai franche le genti.

O Italia, o Roma! Quel giorno, placido
tornerà il cielo su 'l Fòro, e cantici
di gloria, di gloria, di gloria
correran per l'infinito azzurro.


di Giosuè Carducci