martedì 30 luglio 2013

Tu che avevi in te il mio bene



Tu che avevi in te il mio bene
cui ero andato incontro, ma poco,
camminando da solo
e inciampando nella mia ombra,

tu che me lo porti in dono
e non vuoi né congedo a occhi bassi dal passato
né abiura, né pentimento
e sorridi profonda
in me più di me stesso e risplendi,

non ti fermare sulla soglia:
nulla di degno posso darti in cambio,
entra, prendi possesso della casa,
nei muri, nelle fondamenta.


Mario Luzi

Notte



Notte – presto fu piena.
Dischiuse un pugno nero
la raggiera
di fuoco delle dita,
alzò prima un tripudio
celeste di faville,
librò una per una
alte
sempre più in alto
le folgori gemmate...
svettò
verso il suo culmine,
muta
e, a strappi, strepitante
lei, festa umana
e angelica, aspettata
da noi piccoli a lungo
e in ansia, all’unisono
in tempi di concordia
e ora, di nuovo, a tradimento
rapì i desideri
e i sogni, li scrisse in cielo,
ne grondò, calma, per tutta
la lucente ricaduta.


Mario Luzi

lunedì 29 luglio 2013

I versi



Se ne scrivono ancora.
Si pensa ad essi mentendo
ai trepidi occhi che ti fanno gli auguri
l'ultima sera dell'anno.
Se ne scrivono solo in negativo
dentro un nero di anni
come pagando un fastidioso debito
che era vecchio anch'esso d'anni.
No, non è più felice l'esercizio.
Ridono alcuni: tu scrivevi per l'Arte.
Nemmeno io volevo questo, so
che volevo ben altro.
Si fanno versi per scrollare un peso e
passare al seguente. Ma c'è sempre
qualche peso di troppo, non c'è mai
alcun verso che basti, se domani
tu stesso te ne scordi.

Vittorio Sereni

Le Mani



Queste tue mani a difesa di te:
mi fanno sera sul viso.
Quando lente le schiudi, là davanti
la città è quell'arco di fuoco.
Sul sonno futuro
saranno persiane rigate di sole
e avrò perso per sempre
quel sapore di terra e di vento
quando le riprenderai.


Vittorio Sereni

giovedì 25 luglio 2013

La Spiaggia



Sono andati via tutti -
blaterava la voce dentro il ricevitore.
E poi, saputa, - Non torneranno più -.

Ma oggi
su questo tratto di spiaggia mai prima visitato
quelle toppe solari... Segnali
di loro che partiti non erano affatto?
E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse.

I morti non è quel che di giorno
in giorno va sprecato, ma quelle
toppe d'inesistenza, calce o cenere
pronte a farsi movimento e luce.
Non
dubitare, - m'investe della sua forza il mare -
parleranno.

Vittorio Sereni 

Anni Dopo



La splendida la delirante pioggia s'è quietata,
con le rade ci bacia ultime stille.
Ritornati all'aperto
amore m'è accanto e amicizia.
E quello, che fino a poco fa quasi implorava,
dall'abbuiato portico brusìo
romba alle spalle ora, rompe dal mio passato:
volti non mutati saranno, risaputi,
di vecchia aria in essi oggi rappresa.
Anche i nostri, fra quelli, di una volta?
Dunque ti prego non voltarti amore
e tu resta e difendici amicizia.

Vittorio Sereni 

mercoledì 24 luglio 2013

Diana,Risveglio...



Il vento sparso luccica tra i fumi
della pianura, il monte ride raro
illuminandosi, escono barlumi
dall'acqua, quale messaggio più caro?

È tempo di levarsi su, di vivere
puramente. Ecco vola negli specchi
un sorriso, sui vetri aperti un brivido,
torna un suono a confondere gli orecchi.

E tu ilare accorri e contraddici
in un tratto la morte. Cosi quando
s'apre una porta irrompono felici
i colori, esce il buio di rimando

a dissolversi. Nascono liete immagini,
filtra nel sangue, cieco nel ritorno,
lo spirito del sole, aure ci trattengono
con sé: a esistere, a estinguerci in un giorno.


Mario Luzi

Sulla Riva



I pontili deserti scavalcano le ondate,
anche il lupo di mare si fa cupo.
Che fai? Aggiungo olio alla lucerna,
tengo desta la stanza in cui mi trovo
all'oscuro di te e dei tuoi cari.

La brigata dispersa si raccoglie,
si conta dopo queste mareggiate.
Tu dove sei? ti spero in qualche porto...
L'uomo del faro esce con la barca,
scruta, perlustra, va verso l'aperto.
Il tempo e il mare hanno di queste pause.

Mario Luzi

lunedì 22 luglio 2013

Vanità



D'improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido
stupore
dell'immensità.

E l'uomo
curvato
sull'acqua
sorpresa
dal sole
si rinviene
un'ombra

Cullata e
piano
franta.


Giuseppe Ungaretti

Risvegli




Ogni mio momento
io l'ho vissuto
un'altra volta
in un'epoca fonda
fuori di me

Sono lontano colla mia memoria
dietro a quelle vite perse

Mi desto in un bagno
di care cose consuete
sorpreso
e raddolcito

Rincorro le nuvole
che si sciolgono dolcemente
cogli occhi attenti
e mi rammento
di qualche amico
morto

Ma Dio cos'è?

E la creatura
atterrita
sbarra gli occhi
e accoglie
gocciole di stelle
e la pianura muta

E si sente
riavere.


Giuseppe Ungaretti

Silenzio In Liguria



Scade flessuosa la pianura d’acqua.
Nelle tue urne il sole
ancora segreto si bagna.
Una carnagione lieve trascorre.
Ed ella apre improvvisa ai seni
la grande mitezza degli occhi.
L’ombra sommersa delle rocce muore.
Dolce sbocciata dalle anche ilari,
il vero amore è una quiete accesa,
e la godo diffusa
dall’ala alabastrina
d’una mattina immobile.

Giuseppe Ungaretti



domenica 21 luglio 2013

Sfoglio Le Rose

Sfoglio le rose
che m'hanno veduta piangere e sorriderti
e poi ardere bianca,
e metto fra i petali le mie dita
come fra le tue mani,
petali dolci e freschi
che or lancerò nell'aria
cantando sommessa, o amato,
perché tu non ti volga.

Sibilla Aleramo 

Ritmo

Ritrovata adolescenza,
gioia del colore,
occhi verdi di sole sul greto,
scheggiato turchese immenso dell'onde,
biondezza di cirri e di rupi,
rosea gioia di tetti,
colore, ritmo,
come una bianconera rondine
l'anima ti solca.


Sibilla Aleramo 

Azzurro

A questo fermo azzurro dell'aria
dove par la memoria si dissolva,
torna il mio pianto, vena d'alpe
E già il settembre muore,
dolcezza suprema,
ma forse è abbaglio, e tutto è eterno.


Sibilla Aleramo 

Luce Nella Selva

Luce nella selva,
musica di luce,
guizzante ed estatica
canorità raggiante,
fragori d'ombre,
aureole,
filtri di suoni,
e carezze, carezze,
confusione dei sensi,
fragranze agli occhi,
i colori mordono suggono,
labbra aperte attente,
chiaro sonoro
guizza il mondo,
il mondo
è un raggiante brivido canoro,
luce nella selva,
musica di luce.

Sibilla Aleramo 

domenica 14 luglio 2013

Atlante


Davanti a te la mia anima è aperta
come un atlante: puoi seguire con un dito
dal monte al mare azzurre vene di fiumi,
numerare città,
traversare deserti.

Ma dai miei fiumi nessuna piena ti minaccia,
le mie città non ti assordano con il loro clamore,
il mio deserto non è la tua solitudine.
E dunque cosa conosci?

Se prendi la penna, puoi chiudere in un cerchio esattissimo
un piccolo luogo montano, dire: “Qui fu la battaglia,
queste sono le sue silenziose Termopili”.
Ma tu non sentisti la morte distruggere la mia parte regale,
né salisti furtivo
col mio intimo Efialte per un tortuoso sentiero.
E dunque cosa conosci?


Margherita Guidacci

Nessuna parola


Poichè non mi veniva nessuna parola
(la parola era "addio", ma non riuscivo a dirla)
ti ho dato il mio silenzio
ed ho ascoltato il tuo,

e non è stato un vuoto, ma condivisa pienezza
e ancora gioia, mentre accettavamo,
come la terra, un nostro tempo di neve,
bianco grembo d'attesa delle future estati.


Margherita Guidacci 

giovedì 11 luglio 2013

Senza di te tornavo come ebbro



Senza di te tornavo, come ebbro,
non più capace d’esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.

Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m’hanno oscurato agli occhi l’erba, i monti
le campagne, le nuvole.

Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c’è solo l’ombra.


Pier Paolo Pasolini

Dansa di Narcìs



Jo i soj neri di amòur
né frut né rosignòul
dut intèir coma un flòur
i brami sensa sen.
Soj levat ienfra li violis
intant ch’a sclariva,
ciantànt un ciant dismintiàt
ta la not vualiva.
Mi soj dit: «Narcìs!»
e un spirt cu’l me vis
al scuriva la erba
cu’l clar dai so ris.


Pier Paolo Pasolini 

Solo l'amare,solo il conoscere



Solo l'amare, solo il conoscere
conta, non l'aver amato,
non l'aver conosciuto. Dà angoscia
    
il vivere di un consumato
amore. L'anima non cresce più.
Ecco nel calore incantato
    
della notte che piena quaggiù
tra le curve del fiume e le sopite
visioni della città sparsa di luci,
    
scheggia ancora di mille vite,
disamore, mistero, e miseria
dei sensi, mi rendono nemiche
le forme del mondo, che fino a ieri
erano la mia ragione d'esistere.
Annoiato, stanco, rincaso, per neri
    
piazzali di mercati, tristi
strade intorno al porto fluviale,
tra le baracche e i magazzini misti
    
agli ultimi prati. Lì mortale
è il silenzio: ma giù, a viale Marconi,
alla stazione di Trastevere, appare
    
ancora dolce la sera. Ai loro rioni,
alle loro borgate, tornano su motori
leggeri - in tuta o coi calzoni
    
di lavoro, ma spinti da un festivo ardore
i giovani, coi compagni sui sellini,
ridenti, sporchi. Gli ultimi avventori
    
chiacchierano in piedi con voci
alte nella notte, qua e là, ai tavolini
dei locali ancora lucenti e semivuoti.
    
Stupenda e misera città,
che m'hai insegnato ciò che allegri e
feroci
gli uomini imparano bambini,
    
le piccole cose in cui la grandezza
della vita in pace si scopre, come
andare duri e pronti nella ressa
    
delle strade, rivolgersi a un altro uomo
senza tremare, non vergognarsi
di guardare il denaro contato
    
con pigre dita dal fattorino
che suda contro le facciate in corsa
in un colore eterno d'estate;
    
a difendermi, a offendere, ad avere
il mondo davanti agli occhi e non
soltanto in cuore, a capire
    
che pochi conoscono le passioni
in cui io sono vissuto:
che non mi sono fraterni, eppure sono
    
fratelli proprio nell'avere
passioni di uomini
che allegri, inconsci, interi
    
vivono di esperienze
ignote a me. Stupenda e misera
città che mi hai fatto fare
    
esperienza di quella vita
ignota: fino a farmi scoprire
ciò che, in ognun, era il mondo.
    
Una luna morente nel silenzio,
che di lei vive, sbianca tra violenti
ardori, che miseramente sulla terra
    
muta di vita, coi bei viali, le vecchie
viuzze, senza dar luce abbagliano
e, in tutto il mondo, le riflette
    
lassù, un po' di calda nuvolaglia.
È la notte più bella dell'estate.
Trastevere, in un odore di paglia
    
di vecchie stalle, di svuotate
osterie, non dorme ancora.
Gli angoli bui, le pareti placide
    
risuonano d'incantati rumori.
Uomini e ragazzi se ne tornano a casa
- sotto festoni di luci ormai sole -
    
verso i loro vicoli, che intasano
buio e immondizia, con quel passo blando
da cui più l'anima era invasa
    
quando veramente amavo, quando
veramente volevo capire.
E, come allora, scompaiono cantando.

Pier Paolo Pasolini 

lunedì 8 luglio 2013

In estate come in inverno



In estate come in inverno
nel fango nella polvere
sdraiato su vecchi giornali
l’uomo che ha l’acqua nelle scarpe
guarda le barche lontane.
Accanto a lui un imbecille
un signore che ne ha
tristemente pesca con la lenza
Egli non sa perché
vedendo passare una chiatta
la nostalgia lo afferra
Anch’egli vorrebbe partire
lontano lontano sull’acqua
e vivere una nuova vita
con un po’ di pancia in meno.
In estate come in inverno
nel fango nella polvere
sdraiato su vecchi giornali
l’uomo che ha l’acqua nelle scarpe
guarda le barche lontane.
Il bravo pescatore con la lenza
torna a casa senza un sol pesce
Apre una scatoletta di sardine
e poi si mette a piangere
Capisce che dovrà morire
e che non ha mai amato
Sua moglie lo compatisce
con un sorriso ironico
E’ una ignobile megera
una ranocchia d’acquasantiera.
In estate come in inverno
nel fango nella polvere
sdraiato su vecchi giornali
l’uomo che ha l’acqua nelle scarpe
guarda le barche lontane.
Sa bene che i battelli
son grandi topaie sul mare
e che per i bassi salari
le belle barcaiole
e i loro poveri battellieri
portano a spasso sui fiumi
una carrettata di figli
soffocati dalla miseria
in estate come in inverno
con non importa qual tempo.

JACQUES PREVERT 

Non è Amore



Non è Amore. Ma in che misura è mia
colpa il non fare dei miei affetti
Amore? Molta colpa, sia
pure, se potrei d'una pazza purezza,
d'una cieca pietà vivere giorno
per giorno... Dare scandalo di mitezza.
Ma la violenza in cui mi frastorno,
dei sensi, dell'intelletto, da anni,
era la sola strada. Intorno
a me alle origini c'era, degli inganni
istituiti, delle dovute illusioni,
solo la Lingua: che i primi affanni
di un bambino, le preumane passioni,
già impure, non esprimeva. E poi
quando adolescente nella nazione
conobbi altro che non fosse la gioia
del vivere infantile - in una patria
provinciale, ma per me assoluta, eroica -
fu l'anarchia. Nella nuova e già grama
borghesia d'una provincia senza purezza,
il primo apparire dell'Europa
fu per me apprendistato all'uso più
puro dell'espressione, che la scarsezza
della fede d'una classe morente
risarcisse con la follia ed i tòpoi
dell'eleganza: fosse l'indecente
chiarezza d'una lingua che evidenzia
la volontà a non essere, incosciente,
e la cosciente volontà a sussistere
nel privilegio e nella libertà
che per Grazia appartengono allo stile.


Pier Paolo Pasolini 

Mi desto dal leggero sonno



Mi desto dal leggero sonno solo
nel cuore della notte.
Tace intorno
la casa come vuota e laggiù brilla
silenzioso coi suoi lumi un porto.
Ma sì freddi e remoti son quei lumi
e sì grande è il silenzio nella casa
che mi levo sui gomiti in ascolto.

Improvviso terrore mi sospende
il fiato e allarga nella notte gli occhi:
separata dal resto della casa
separata dal resto della terra
è la mia vita ed io son solo al mondo.
 
Poi il ricordo delle vie consuete
e dei nomi e dei volti quotidiani
riemerge dal sonno,
e di me sorridendo mi riadagio.
 
Ma, svanita col sonno la paura,
un gelo in fondo all'anima mi resta.
Ch'io cammino fra gli uomini guardando
attentamente coi miei occhi ognuno,
curioso di lor ma come estraneo.
Ed alcuno non ho nelle cui mani
metter le mani con fiducia piena
e col quale di me dimenticarmi.
 
Tal che se l'acque e gli alberi non fossero
e tutto il mondo muto delle cose
che accompagna il mio viver sulla terra,
io penso che morrei di solitudine.
 
Or questo camminare fra gli estranei
questo vuoto d'intorno m'impaura
e la certezza che sarà per sempre.
 
Ma restan gli occhi crudelmente asciutti.

Camillo Sbarbaro

Era Color Del Mare



Era color del mare e dell’estate
la strada fra le case e i muri d’orto
dove la prima volta ti cercai.
All’incredulo sguardo ti staccasti
un po’ incerta dall’altro marciapiede.
Nemmeno mi guardasti. Mi stringesti,
con la forza di chi s’attacca, il polso.
A fianco procedemmo un tratto zitti.

Una macchina adesso mi portava,
procella appena dominata, verso
il luogo di quel primo appuntamento.
Già la svolta il mio cuore riconosce
e, raffica, la macchina imbocca,
ed ecco tu ti stacchi
un po’ incerta dall’altro marciapiede.
(Non era che un crudele immaginare:
paralitico tenta con quest’ansia
la parte, se già il male guadagni).

Il tempo di pensarti; ma nell’attimo
che dolcissima spina mi trafisse!
Acuta come questa non mi desti
altra gioia, non mi potevi dare.
T’amavo. Amavo. Anche per me nel mondo
c’era qualcuno.
O strada tra le case, benedetta,
dove la prima volta nella vita
pietà d’altri che me mi strinse il cuore.

Camillo Sbarbaro

La signorina Felicità



I.
Signorina Felicita, a quest'ora
scende la sera nel giardino antico
della tua casa. Nel mio cuore amico
scende il ricordo. E ti rivedo ancora,
e Ivrea rivedo e la cerulea Dora
e quel dolce paese che non dico.

Signorina Felicita, è il tuo giorno!
A quest'ora che fai? Tosti il caffè:
e il buon aroma si diffonde intorno?
O cuci i lini e canti e pensi a me,
all'avvocato che non fa ritorno?
E l'avvocato è qui: che pensa a te.

Pensa i bei giorni d'un autunno addietro,
Vill'Amarena a sommo dell'ascesa
coi suoi ciliegi e con la sua Marchesa
dannata, e l'orto dal profumo tetro
di busso e i cocci innumeri di vetro
sulla cinta vetusta, alla difesa...

Guido Gozzano

mercoledì 3 luglio 2013

Le Dolcezze



Le domeniche azzurre della primavera.
La neve sulle case come una parrucca bianca.
Le passeggiate degli amanti sul canale.
Fare il pane la mattina di domenica.
La pioggia di marzo che batte sui tegoli grigi.
Il glicine fiorito su pel muro.
Le tende bianche alle finestre del convento.
Le campane del sabato.
I ceri accesi davanti alle reliquie.
Gli specchi illuminati nelle camere.
I fiori rossi sopra la tovaglia bianca.
Le lampade d'oro che s'accendono la sera.
I crepuscoli di sangue che muoion sulle mura.
Le rose sfogliate sul letto dei malati.
Suonare il pianoforte un giorno di festa.
Il canto del cuculo nella campagna.
I gatti sopra i davanzali.
Le candide colombe sui tetti.
Le malve nelle pentole.
I mendicanti che mangian sulle soglie delle chiese.
I malati al sole.
Le bambine che si pettinano l'oro al sole sulle porte.
Le donne che cantano alla finestra.

Corrado Govoni